sabato 31 gennaio 2009

Espiazione

Atonement, film diretto da Joe Wright nel 2007, rivisita piuttosto fedelmente il romanzo di Ian McEwan (2001) da cui è tratto: uguale la suddivisione in quattro movimenti, identiche le ambientazioni, gli stessi personaggi. Ma film e romanzo raccontano davvero la stessa storia?

Entrambi ripercorrono le vicende della scrittrice Briony Tallis a partire da giorno in cui, appena adolescente, si rende conto della propria vocazione, fino al suo settantasettesimo compleanno.
Il primo movimento del film segue quasi pedissequamente il romanzo, se non perché alcuni personaggi rimangono più abbozzati. L'unica differenza rimarchevole è l'uso, da parte della giovane Tallis, di una rumorosa macchina da scrivere, che rende la creazione un atto meno segreto e intimo di quanto fosse nel romanzo: una trovata efficace dal punto di vista della sceneggiatura, ma -come si vedrà- anche un'anticipazione importante.
Nella seconda parte del film compare qualche variazione, soprattutto di ritmo, a prima vista ancora attribuibile ad esigenze di brevità dovute al mezzo cinematografico: il percorso di Robbie Turner verso il mare appare più rapido, e sono tagliate proprio le scene più drammatiche e spettacolari presenti nel testo letterario, primo tra tutti il bombardamento della colonna di militari e civili in fuga, da parte dell'aviazione tedesca. Inoltre, un'immagine fondamentale del romanzo -il cadavere di un bimbo dilaniato da una bomba, incubo che accompagnerà Robbie fino alla fine- è sostituita e come amplificata da quella di un'intera scolaresca sterminata; ma anche qui la scelta è di mostrare un'immagine pulita, dalla compostezza che la rende niente affatto realistica ma quasi astratta.
La terza parte, in cui Briony Tallis diciottenne studia per divenire infermiera, è ormai lontana dal seguire passo a passo il romanzo. Nonostante le vicende si svolgano quasi per intero in ospedale, e in buona parte alle prese con feriti di guerra, la presenza di sangue è ridotta all'indispensabile, e anche momenti drammatici come la morte del giovane panettiere francese sono resi senza insistenza sui dettagli, ma quasi con intensa liricità. Rimane presente la macchina da scrivere, rumorosa e del tutto improbabile in un dormitorio di ragazze tenute ad osservare in modo ferreo le regole più fantasiose, al solo fine di essere abituate all'obbedienza: così, se nel romanzo la penna è sostituita da un mozzicone di matita, nel film il ticchettio echeggia nella notte, e tiene il ritmo dell'esistenza della giovane scrittrice, che pure si trova là per espiare, appunto, la sua stessa esistenza.
A questo punto del film è emerso chiaramente anche un altro intervento di regia, ed è l'attenzione riservata all'acqua e ai suoi significati simbolici. La polarità tra il bagno di Cecilia nella fntana-fonte battesimale, di ristoro nella giornata di gran caldo, e la sete insopportabile di Robbie, separato da lei da cinque anni di carcere e di guerra, è sottolineata e rafforzata da numerosi dettagli del romanzo ai quali il regista lascia spazio, e alle diverse invenzioni che si concede. Il laghetto e la piscina di Villa Tallis sono mostrate, fin dall'inizio, sotto ogni angolazione, così da poter essere rimpianti per tutto il resto della storia, e Wright insiste sull'episodio parallelo al bagno della sorella, narrato in flashback, di Briony bambina che si tuffa per essere salvata. In Francia, il cammino di Robbie prende avvio lungo un canale, la cui quiete ordinaria dovrà a sua volta essere rimpianta nelle scene a seguire. Briony si lava le mani all'ospedale: nel film, non più per richiesta pressante della caposala, ma per una sua necessità di pulizia e di purificazione. E per acqua viene anche la morte dei due amanti: Robbie per setticemia, prosciugato dalla sete; Cecilia -e questa è invenzione del regista- travolta dall'acqua di una tubatura esplosa, a causa di una bomba. Robbie dunque ucciso dalle privazioni, Cecilia annegata nella sua stessa passione.

E si viene così all'epilogo, breve in entrambi i casi, e risolutivo. Briony Tallis, divenuta scrittrice di successo, compie 77 anni e ha ricevuto da poco la notizia di essere affetta da una malattia degenerativa che la priverà della capacità di parlare, poi di capire, quindi di ricordare. Nelle due versioni compare l'incontro tardivo di Briony con Cecilia e Robbie, sopravvissuti alla guerra e finalmente riuniti; e in entrambe il romanzo non è ancora stato pubblicato. Ma a questo punto, romanzo e film si allontanano irreparabilmente.
Il romanzo di McEwan è anche una riflessione sulla scrittura, e il film deve arrestarsi davanti al gioco di rispecchiamento. E se nel libro la pubblicazione-redenzione non è avvenuta per timore di un'innaffrontabile causa da parte del troppo ricco e troppo potente Paul Marshall o della sua giovanile e aggressiva moglie Lola, nel film tutto è dovuto a un dubbio personale della scrittrice.
Nel film, dalla scena finale scompaiono la villa divenuta resort, la famiglia numerosa, i tanti presenti e i troppi assenti; la telecamera si svela nell'allestimento di un'intervista televisiva, con tanto di interruzione su richiesta della scrittrice, che chiede una pausa per riflettere, per ricordare finché può.
Il romanzo si conclude con una nota di mestizia: "Mi piace pensare che non sia debolezza né desiderio di fuga, ma un ultimo gesto di cortesia, una presa di posizione contro la dimenticanza e l'angoscia, permettere ai miei amanti di sopravvivere e vederli uniti alla fine. Ho regalato loro la felicità, ma non sono stata tanto opportunista da consentire che mi perdonassero, non proprio, non ancora. E se avessi il potere di evocare la loro presenza alla mia festa di compleanno... Robbie e Cecilia, ancora vivi, ancora innamorati, seduti accanto in biblioteca, a sorridere delle Disavventure di Arabella? Non è escluso. Ora basta però, devo dormire." La scrittrice indulge nella propria onnipotenza, è giunta alla fine della vita ma lascia ancora una porta aperta alla creazione letteraria, vanificando così la propria espiazione.

E il film? Si ferma poco prima, al regalo della felicità. Uguale l'onnipotenza, mentre il dubbio, il "Non è escluso" è lasciato agli occhi di Vanessa Redgrave; e per descrivere questo, le parole non sono sufficienti.

sabato 10 gennaio 2009

Digital Divide - baby version

Giorni fa è venuto a trovarci un amichetto di mia figlia (5 anni come lei) che, pochi mesi fa, si è trasferito in Senegal con il papà e il fratellino di 2 anni e oggi giorni riparte per Dakar. La mamma li raggiungerà tra qualche settimana.

Ci hanno raccontato dell'asilo bilingue, francese e inglese, e dei compagni di classe per metà senegalesi e per metà immigrati canadesi ed europei; dei mobili su misura per la casa, ordinati e acquistati per strada; e delle loro serate in famiglia. Ogni sera alle otto, papà e bimbi si siedono a tavola a Dakar; mamma, alle nove in Italia, fa altrettanto. Accendono il pc, lanciano skype e cenano. A Dakar suona il telefono: "Guardali tu, che vado a rispondere", e la mamma bada che la forchetta non cada, che nessuno si alzi prima di aver finito. A volte è necessario sentire la voce della mamma anche in altri momenti; allora papà chiama, ed ecco che lo schermo si illumina.

Tra poche settimane anche noi traslochiamo: non in Africa, ma più semplicemente a 150 chilometri da Bologna. Saremo tutti insieme, per fortuna; perché se dovessimo contare sulla tecnologia, staremmo freschi! Quello dove andremo fortunatamente non è uno dei troppo numerosi comuni italiani non raggiunti dal servizio ADSL. (Non è facile trovare dati certi e aggiornati). Meno fortunatamente, "Il segnale che arriva alla centrale non giunge però in tutti i borghi, frazioni, etc. del comune; arriva a una certa distanza dalla centrale che non coincide né col confine del comune né col raggio d'azione di una centrale vicina. Per cui quando un comune è coperto non vuol dire che sono coperti tutti gli abitanti" (fonte: Wikipedia).

Lasciamo la città per la provincia, alla ricerca di un'esistenza più tranquilla, di ritmi meno frenetici, di una maggiore disponibilità di tempo per noi e per i bambini. Non intende essere una scelta estrema: dalle finestre di casa si vedranno colline e molto cielo, ma saremo in ogni caso a solo 4 chilometri dal centro storico di un capoluogo di provincia! E pure, la zona non è raggiunta dai servizi ADSL né dalla copertura UMTS, né è inclusa nei progetti anti-digital divide. Dovremo puntare al satellite?

Mia figlia ha salutato il suo amico dicendo: "Ci vediamo sul computer", lui ha risposto: "Si, su skype".
Aggiungo io: "Speriamo..."

giovedì 8 gennaio 2009

Nel bel mezzo di un romanzo

Nell'ultimo numero di Internazionale (#776), Zadie Smith racconta il suo modo di scrivere. Scrivere romanzi, perché questo è il suo mestiere. Si descrive come una "micromanager", dice di cominciare dalla prima riga e di proseguire, avanti e ancora avanti, fino all'ultima, senza sapere prima dove la porterà la storia. Annoto qui che, nel mio piccolo, appartengo piuttosto, senza averlo scelto, alla categoria "macropianificatori", e ho cassetti pieni di appunti per trame, strutture, profili di personaggi. Non potrei scrivere nemmeno una riga, senza avere ben chiaro in mente dove si andrà a finire, e un'idea abbastanza precisa di come ci si arriverà.


Dopo aver attraversato le fasi DOP (Disturbo Ossessivo della Prospettiva), Le parole degli altri parte prima, Le parole degli altri parte seconda, ecco che Zadie Smith si trova Nel Bel Mezzo del Romanzo:


Nel bel mezzo di un romanzo, una specie di pensiero magico s'impadronisce di me. Tanto per chiarire, il "bel mezzo" può anche non capitare proprio nel centro geografico del romanzo. Con questa espressione mi riferisco piuttosto alla pagina, qualunque sia, su cui ti trovi quando smetti di far parte del tuo ménage e della tua famiglia, quando non conosci più il tuo partner e i tuoi figli, quando non sai più cosa sia far la spesa e dar da mangiare al cane e leggere la posta. Insomma, quando non c'è più niente al mondo tranne il tuo romanzo, e anche mentre tua moglie t'informa che va a letto con tuo fratello, la sua faccia ti sembra un gigantesco punto e virgola, le sue braccia due parentesi, perché tu sei occupato a chiederti se sia meglio il verbo "frugare" o "rovistare".

Ecco. Io credo che conoscere questo stato d'animo sia una delle ragioni per cui vale la pena vivere.