giovedì 28 giugno 2012

Attraversare

martedì 26 giugno 2012

Deragliamento

More about Mille anni che sto quiMariolina Venezia, Mille anni che sto qui


Per almeno centocinquanta pagine ci si orienta agevolmente: molti i personaggi, soprattutto donne, ma sensato sempre il loro modo di esistere, i rapporti, l'eredità che ne porterà chi verrà dopo. E se dovessimo perdere la bussola, c'è una mappa genealogica certa, semplice, che ci sostiene.
Poi, i fatti i nomi le vicende prendono a confondersi, gli episodi si ripetono, i ricordi sfumano e soprattutto il ritmo accelera, diventa più facile perdere il filo. Dopo tanti capitoli di chiarezza e consequenzialità compare un unico nome equivoco, Gioia, come un'anticipazione non si sa ancora di cosa; e purtroppo sa di espediente letterario.
Un po' come in Isabel Allende o Marcela Serrano, nel racconto si intrecciano politica e magia, progresso e abdicazione a se stessi, senza ritorno.
L'accelerazione, la crescente confusione, saranno una scelta di stile, per coerenza con una tradizione perduta e tradìta, o semplice stanchezza nel tenere le fila di troppi ricordi, di eredità troppo complesse e pesanti? Eredità inspiegabili per chi abbia perso le radici, e non abbia potuto ascoltare anno dopo anno i racconti tra donne di casa, in casa, quelle parole parole infilate una dopo l'altra nelle cucine, nei cortili, nei soggiorni, a costruire un racconto che, come le tovaglie ricamate,acquista senso solo una volta completato, dall'insieme di infiniti insignificanti dettagli. Catene di parole che tutto accolgono, tutto spiegano e giustificano; parole che a Gioia mancano e il cui eco la richiama, esangue, tra le mura di Casa, dopo una vita uscita dai binari.

domenica 17 giugno 2012

Dolore

More about Brevi interviste con uomini schifosiDavid Foster Wallace, Brevi interviste con uomini schifosi

E' più di un mese che ho finito di leggere le Interviste di DFW; e ancora oggi devo forzarmi per scriverne qualcosa.
Sarà forse perché tutto sembra già essere stato pensato, e considerato, e criticato, e scritto in quella stessa pagina che tentiamo di chiosare.
E poi c'è la sofferenza.
Durante la lettura, mentre l'occhio scorreva sulle righe, pensavo che sarebbe stato meglio rallentare, prestare più ascolto, provare a capire; e pure, non volendomi arrendere a sorvolare su interi paragrafi, concretizzavo il desiderio di fuga leggendo in velocità, nel tentativo che tutto finisse il prima possibile.
Da allora, le parole di DFW sedimentano lentamente e io cerco di abituarmi ai diversi generi di dolore che hanno risvegliato. Il campionario è ampio: di racconto in racconto, ci si può immedesimare nel bambino che si tuffa o in sua madre distratta e poi preoccupata ma comunque lontana; nella persona depressa o in chi nonostante tutto l'ascolta; nel padre che odia suo figlio o nel figlio che si suicida come dono estremo a sua madre che non l'ha mai amato. In chi abbandona e in chi  abbandonato, in chi stupra e in chi è stuprato. Fa tutto troppo male, e una volta chiuso il libro la cosa migliore è dimenticare tutto. La reazione è così forte che davvero, poche ore o anche pochi minuti dopo aver chiuso il libro, sembrava non ne fosse rimasto nulla.
Ma, posta qualche distanza tra me e le pagine scritte, ecco che lentamente qualcosa riemerge. Non più dolore, non più disgusto per questi uomini "schifosi" e per l'odio di sé che tutti senza eccezioni provano e dissimulano e per la distanza fatta di diffidenza e sospetto che irreparabilmente li divide; ma qualcosa di diverso.
Vedo un giovane scrittore umanista e poco adatto ai salotti osservare gli uomini e le donne e la loro meschinità, e osservare se stesso con lo stesso occhio disincantato. Lo vedo scrutare e descrivere la pochezza dei propri moventi, e dei loro. Lo vedo computare le sofferenze provate da ciascuno e quelle inflitte, e sperare in una migliore comprensione che permetta a ciascuno di capire di più, e di più perdonare a questa umanità dolente. Lo vedo riconoscere in ciascuno la sua stessa nostalgia di un'umanità diversa.
E ancora lo vedo farsi carico di tutto questo, accorgersi un giorno di non averne la forza.
E alla fine arrendersi.

sabato 16 giugno 2012

Frivolezza

Mi piacciono le collane e gli specchi.
E questo potrebbe apparire frivolo; se le prime non fossero catene, e i secondi non obbligassero a riflettere.