mercoledì 4 giugno 2008

Nata ieri

"Signora, nessuno le ha detto che il cervello del suo bambino non si sta sviluppando?"
Luca si mette le mani tra i capelli.
"Comunque facciamola lo stesso, questa amniocentesi. Per quel che serve..."
Silenzio.
L'ecografo scivola sulla pelle, sonda, scruta. La dottoressa disinfetta, buca, preleva; e io, che temevo di sentire il dolore dell'ago, non sento niente, potrebbero anche tagliarmi la pancia e non sentirei niente lo stesso.
"Si accomodi nella stanza accanto, la raggiungo tra poco"
Luca: "Anch'io?"
"Anche lei."

Un'ora e mezza. Per un'ora e mezza nessuno si è affacciato, nessuno ci ha detto né spiegato nulla. Di tanto in tanto prendevo fiato, mi asciugavo le lacrime e mandavo Luca a cercare aiuto, ma poi lo richiamavo appena usciva, non potevo rimanere da sola. Quindi, è ricomparsa la dottoressa.
"Trisomia 15. Il feto si sviluppa normalmente, ma non altrettanto il suo cervello. Non sono presenti i lobi, non c'è attività cerebrale. Non esiste alcuna possibilità di recupero. Raramente la gravidanza giunge a termine, se questo accade il neonato muore nel giro di qualche minuto o qualche ora. Venga con me che le prenoto una stanza."
Una stanza? Perché? Cosa devo fare in una stanza, qui?
"No guardi io adesso vado a casa mia, ho fatto un'amniocentesi e devo riposare."
"Signora forse non ci siamo capiti. Non c'è nessuna possibilità di sviluppo del feto. Lei deve abortire, e deve farlo il prima possibile."
"Luca..."

Siamo tornati a casa. Luca è andato a prendere Gaia dai nonni, e l'abbiamo messa a nanna. Quindi abbiamo passato la notte a parlare, a digitare nuove parole su Google, a tacere e a piangere. Il mattino dopo ho accompagnato Gaia all'asilo e sono tornata all'ospedale. Ho chiesto della dottoressa.
"Ha un appuntamento?"
"No. Mi chiamo Renata Monti, le dica che sono qui per favore."
L'infermiera compone un numero breve; la porta si apre.
"Ho bisogno di sapere che davvero non c'è nessun'altra possibilità."
"Non c'è."
"E di sapere quali sono le cause. Genetiche? Io e mio marito abbiamo già una figlia, è normale, sana. Vorremmo fare gli esami che servono, per evitare che succeda di nuovo."
"Si può fare. Ma non glie lo consiglio. Succede, è un fatto statistico. Oggi succede più spesso, perché le donne fanno figli in età più avanzata, e il rischio cresce. Ecco, questo è il referto del Fish Test."
"Cos'è?"
"Un esame rapido sul liquido amniotico."
"Ma per i risultati dell'amniocentesi ci vogliono molti giorni..."
"Non se si sa già cosa cercare. Trisomia 15. Bastava l'ecografia, comunque... ecco."
Altro numero breve.
"Infermiera, venga qui con l'agenda."

Di pomeriggio sono andata al lavoro. Sarei dovuta rimanere a casa, a riposo, per limitare i rischi. Ma quali rischi. Porto ancora in giro una pancia, tutto questo non ha senso. La stanza è prenotata per martedì prossimo. Oggi è mercoledì. Domani non c'era posto, dopodomani nemmeno; nel fine settimana niente ricoveri programmati, lunedì è festa nazionale... martedì. In due giorni ho lavorato più di venti ore; più o meno come al solito. C'è un nuovo stagista, e una delle due dipendenti dell'agenzia ha dato le dimissioni la scorsa settimana. da fare, ce n'è. E almeno non ci penso.
Il fine settimana l'ho passato al mare con Luca e Gaia. Sarebbe venuta anche mia mamma, ma volevo restare sola con loro. Sto viziando Gaia come non mai.

E poi, è arrivato martedì. A Gaia ho detto che andavo a Roma per lavoro, e che le avrei portato un regalo delle Winx. L'ho lasciata dai nonni. Mi presento in reparto; l'infermiere scorre la lista di nomi e cognomi.
"Si, eccola. Ma non c'è  scritto il motivo del ricovero, cosa deve fare?"
E' una pessima giornata.
"Interruzione di gravidanza per malformazione del feto. Ventesima settimana. E non voglio stare in camera con nessun altro, se serve pago ma lasciatemi da sola."
Se mi mettono accanto a un'interruzione volontaria impazzisco.
Luca tace. L'infermiere abbassa lo sguardo, e da questo momento sono tutti gentilissimi. Scriverò una lettera al giornale, per raccontare quanto tutti siano stati gentili. Mi portano in camera, il reparto è lo stesso ma la corsia è separata da quella dell'ostetricia. Ha senso. Luca non potrebbe restare, ma nessuno dice niente.
"Cosa succede ora? Ho bisogno di sapere cosa mi fate."
Mi hanno spiegato. Niente da mangiare né da bere, fino alla fine. Ossitocina. E poi si aspetta. D'accordo, non posso che collaborare, e cercare di non pensare a nulla.
"E non voglio vederlo, non voglio sapere niente, maschio o femmina, non importa."
"Questo ce lo dirà dopo."

E' stato molto dopo. Tre applicazioni di ossitocina, tre flebo di fisiologica e, ininterrottamente, contrazioni, vomito e diarrea. Luca non si è mai mosso, ha parlato pochissimo. L'ostetrica va e viene, poi comincia il turno successivo, e dopo altre, molte, ore vedo tornare la prima. Dopo sei ore chiedevo pietà; dopo dodici urlavo, il dolore era troppo. Io, che al primo parto non ho aperto bocca. Possibile che non si possa avere un'anestesia, bisogna davvero vivere tutto? Ma non si può. Interromperebbe le contrazioni.
E dopo sedici ore ecco, ci siamo. Con l'ostetrica entra un'infermiera. Rimango sul letto, stendono un lenzuolo tra me e mio figlio, Luca si sposta e mi tiene la mano. Sono bastati quattro centimetri di dilatazione, nulla. Crescita nella norma, pesa centotrenta grammi. E' pre-morto. Cosa vorrà dire.

E' finita. Come sempre, il dolore scompare all'improvviso. Quello fisico. Rimane un insopportabile, un enorme e incolmabile vuoto, una spossatezza senza senso.
"E' allergica allo iodio?"
"Come?"
"E' allergica allo iodio? Per l'anestesia."
"Ma non lo so... non credo."
"Firmi qui."
Firmo.
"Quale anestesia?"
"Per il raschiamento. Anche qui."
"Cos'è?"
"Il consenso informato."
Firmo.
Anestesia totale.
Totale! Per il raschiamento. Non lo so, se sono allergica. Non ho mai fatto un'anestesia. Ho firmato, sono d'accordo, accetto tutto quello che mi faranno. Ma come! In anestesia. Ma allora davvero non si può? Non si poteva...

Quando mi sveglio, Luca è di nuovo con me. Stessa camera. Bocca impastata, nausea, e sete, tanta sete. Bevo, vomito. Ribevo. Sono le undici di mattina, è di nuovo mercoledì.
Alle quattro di pomeriggio, sono riuscita a mangiare qualcosa, non mi reggo in piedi. Passa l'ostetrica, mi tasta la pancia floscia.
"A posto."
Mi accompagnano a fare un'ecografia, il mio utero è quasi tornato alle dimensioni normali.
"Questa volta mi prescrivete il Methergin?"
Dopo il primo parto ho avuto un'emorragia grave, ricovero, allarme. Me lo prescrivono.
"Bene, può andare."
"Scusi?"
"E' dimessa, può tornare a casa. Torni fra tre giorni per una visita di controllo."

Siamo tornati a casa. Luca è andato a prendere Gaia, quando è arrivata le ho dato il suo regalo, la borsa delle Winx. Ora la porta sempre, e io non la sopporto. Prima di dormire mi dà un bacio sulla pancia, come sempre. La mia pancia è cambiata, e lei non se n'è accorta; meglio così. Dormiamo.
Ma l'indomani, bisogna parlare. Vorrei dirle cos'è successo davvero, Luca preferisce trovare un altro modo.
"Va bene, però parli tu."
D'accordo.
"Gaia... sai... ci sono bambini che nascono, e bambini che tornano subito in cielo, e diventano angioletti."
Ci guarda. Guarda suo padre, guarda me. Devo, devo riuscire a non piangere. Non deve vedermi piangere. La vedo cercare un appiglio, un sorriso, un motivo qualsiasi per non capire. Poi scoppia a piangere, lei si, lei può e deve. La stringiamo, la abbracciamo, avrai tutti i regali delle Winx che vorrai, penso. Oggi niente asilo, stiamo a casa e giochiamo insieme.

Di sera, sta guardando un cartone animato, distesa a pancia in giù sul divano, con il mento appoggiato alle mani. Io, in cucina, preparo la cena e ascolto le vocine cinguettanti che escono dalla televisione. Luca come sempre lavora, al tavolo del soggiorno.
"Mamma?"
Non distoglie lo sguardo dallo schermo.
"Si, amore."
"Il fratellino è morto?"
Silenzio. Luca e io ci guardiamo, poi a lui esce una lacrima e si china sui libri.
"Si, è morto."
"Ah."
Poi, non ha più chiesto niente.