sabato 18 febbraio 2012

mercoledì 15 febbraio 2012

Neve

More about Il richiamo della foresta
Non l'avevo letto da bambina.
L'ho fatto ora, ad alta voce, con due piccoli lettori in erba, mentre fuori nevicava.
Bellissimo.

martedì 14 febbraio 2012

Esistenza

More about La nausea
La Nausea: diario di ventitré giorni d’inverno, dal 30 gennaio al 21 febbraio del 1932. Giusto ottant’anni fa. In questi giorni, Roquentin-Sartre sente la sua inquietudine prendere forma, e scopre la Nausea. Tutto quel che segue è un tentativo affannoso e vano di cogliere la natura della Nausea, prima, e poi di sconfessare l’evidenza di quanto in realtà gli è chiaro fin dall’inizio. Consapevole da subito della sovrabbondanza e dell’ottusità fine a se stessa di ciò che esiste, Roquentin cerca in ogni modo qualcosa che dia torto alla sua intuizione, ovvero l’impossibilità per l’uomo di sollevarsi al di sopra dell’esistente e di dargli un senso.
Tenta dapprima, ingenuamente, di trovare un barlume di umanità nel suo stesso volto, che tuttavia gli appare muto come una carta geologica, inumano. Cerca un appiglio nelle parole, e pure è conscio che quest’ultime, nel descriverla, immediatamente congelano la realtà e ne fanno qualcosa d'altro; sa da subito che l'esistenza resterà sempre più ottusa e più forte di qualsiasi sua razionalizzazione. Si aggira quindi confuso in una “folla tragica” incapace di sfuggire al proprio destino; e il fatto di averne consapevolezza gli permette di cogliere la “sensazione di fatalità”, ma lo lascia costretto in un’uguale impossibilità di scelta, forzato nello stesso ‘tragico’ stato di esistente. In pieno carnevale, tempo di rovesciamenti necessari alla ricostituzione dell’ordine, prova qualcosa che “è come la Nausea e tuttavia è esattamente l’opposto: finalmente [gli] capita un’avventura”; ma anche questa (che pure non ci è dato di sapere in che cosa consista) giungerà a termine, e lascerà tutto esattamente immutato. Roquentin spera quindi nel potere della volontà (“Immagino sia per pigrizia che il mondo si rassomiglia tutti i giorni. Oggi aveva l’aria di voler cambiare. E allora tutto, tutto poteva succedere”) e dell’iconografia di una galleria di ritratti di nullità che non hanno inciso né lasciato traccia.
Trova a volte rifugio e sollievo nella biblioteca, che è ricordo di ciò che è stato, è memoria; ma spesso ne deve fuggire perché anche là sente incombere la mancanza di senso. Ed è proprio in biblioteca, dopo la decisione di abbandonare la ricerca storica, che Antoine perde una battaglia cruciale: “Ho voglia di alzarmi, di fare una cosa qualsiasi per stordirmi. Ma se alzo un dito, se non me ne sto assolutamente fermo, so benissimo cosa mi capiterà. E non voglio che mi capiti ancora. Tornerà sempre anche troppo presto. […] Soprattutto non muoversi, non muoversi… Ah! / Questo movimento delle spalle, non ho potuto trattenerlo. /  La Cosa, che aspettava, s’è svegliata, mi s’è sciolta addosso, cola dentro di me, ne son pieno… […] L’esistenza liberata, svincolata, rifluisce in me. Esisto. / Esisto. E’ dolce, dolcissimo, lentissimo”.
Roquentin non riesce più ad opporre resistenza, è tentato dall’abbandonarsi all’animalità dell’esistere, ne sente la lusinga; ma allo stesso tempo ne è atterrito. Non sa smettere di pensare, non sa smettere di esistere, sente di esistere suo malgrado e tenta un’impossibile fuga. “I pensieri, non c’è niente di più insipido. Ancora più insipido della carne.  […] Esisto perché penso… e non posso impedirmi di pensare […] sono perché penso, e perché penso?”. Esce, Antoine, lascia la biblioteca e si getta fuori. “Come esistono forte oggi le cose!” E’ oltre la Nausea e, colto dal panico di non poter sfuggire al mondo e a se stesso, trova in una notizia “Sensazionale” un ultimo disperato appiglio: lo stupro, tentativo estremo di salvezza. Di più: lo stupro di una bambina. Roquentin si perde in un desiderio lordo e violento, si sporca con i dettagli più sordidi, le dita della piccola contratte nel fango, e l’evocazione delle immagini diventa ricordo: “il fango sul mio dito [=pene] che usciva dal rigagnolo fangoso e ricadeva dolcemente, pian piano, s’afflosciava, grattava meno forte le dita della bambina ch’era strangolata […] l’esistenza è molle”. E’ forse Antoine, l’”ignobile individuo”, lo stupratore della “piccola Luciana assalita da dietro, violata dall’esistenza da dietro”? E’ forse questo, ciò che voleva non gli capitasse più? E dopo tutto, se Antoine irrimediabilmente esiste, se nemmeno questo tentativo estremo di strappo all’ottusa ‘molle’ continuità dell’esistenza ha alcun esito, se nemmeno lo stupro di una bambina è sufficiente a far finalmente ‘accadere’ qualcosa, fa forse differenza se, a commetterlo, sia stato un esistente o un altro? Se Antoine è in grado di rivivere, di sentire nella carne ciò che è successo, potrebbe benissimo esserne stato l’autore. Non cambierebbe comunque nulla.
Scrive Antoine: “Niente. Esistito”. Ovvero la crisi, l’urlo del giorno precedente, l’evocazione / memoria della violenza non sono servite, tutto è rimasto uguale a prima, l’esistenza ha avuto ancora una volta il sopravvento. E così, l’indomani, schiaccia la mosca con noncuranza, lui che nello spirito e forse nel corpo ha perpetrato una violenza ben maggiore, e afferma: “L’ho sbarazzata dell’esistenza. […] Le ho reso un servigio”. Alla mosca, alla bambina? Comunque sia, perfino uccidere rimane un atto interno all’esistente.
“E’ dunque questa, la Nausea: quest’accecante evidenza? Quanto mi ci son lambiccato il cervello! Quanto ne ho scritto! Ed ora lo so: io esisto – il mondo esiste – ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi è indifferente. […] La Nausea […] sono io stesso”:  la guerra è persa, Antoine esiste esattamente con la stessa mostruosa evidenza di una radice di castagno, parte indistinta di un tutto senza senso, di un’esistenza eccessiva e invadente dalla quale non si può sfuggire nemmeno con l’atto volontario di togliersi la vita – resterebbe un cadavere, sangue, ossa, tutto è di troppo - anche questo.
Roquentin esclude il ricorso a qualche trascendenza, perché la Nausea è proprio consapevolezza della gratuità dell’esistente, che esiste senza causa e senza fine, e senza lasciare di sé un ricordo. Avvolto da tanta passività appiccicosa, Antoine ne prova oppressione e, visto vanificarsi ogni tentativo di riscatto, finalmente, noia. Incontrerà Anny, antica amante ormai grassa, molle, “tornata solo per toglier[gli] ogni speranza”. Deciderà di lasciare Bouville, come se ciò potesse fare una qualsiasi differenza. Tanto per fugare ogni dubbio, vedrà in un patetico Autodidatta  incontrato in biblioteca la crassa esistenza corporea sopraffare lo sforzo intellettuale e l’idea politica, vanificandole.
Solo ascoltando e riascoltando il canto del sassofono, Antoine si culla brevemente, fugacemente in qualcosa che, infine, ha una propria completezza, perfino un senso; e coglie infine il desiderio che ha accomunato tutti i suoi tentativi affannosi e all’apparenza slegati: “cacciare l’esistenza fuori di me” e, finalmente, ESSERE. Essere come l’aria di jazz, nata dal pensiero di un uomo qualunque, resa viva dalla voce di una qualunque donna, ma ormai indipendente e autonoma, e perfetta. Peccato, peccato che la musica, al pari di una perfetta figura geometrica, non possa anche ‘esistere’…



venerdì 10 febbraio 2012

Neve


mercoledì 8 febbraio 2012

Neve

venerdì 3 febbraio 2012

Pensiero


Sono perché penso, e perché penso?
[Jean-Paul Sartre, La Nausea]

giovedì 2 febbraio 2012

Asciutte

Questa frase io l’avevo pensata; era stata un po’ di me stesso. Adesso s’era impressa nella carta e faceva blocco contro di me. Non la riconoscevo più. Non potevo nemmeno ripensarla. Era lì, di fronte a me, invano avrei ricercato in essa un segno della sua origine: chiunque altro avrebbe potuto scriverla. Ma io, io, non ero affatto sicuro di averla scritta. Le lettere adesso non brillavano più, erano asciutte. Anche questo era scomparso: non restava più niente del loro effimero splendore.
[Jean-Paul Sartre, La Nausea]