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venerdì 16 maggio 2014

Rimpianto

La scorsa settimana, Internazionale ha pubblicato, nella rubrica Pop, un articolo dal titolo "Cos'è il rimpianto".
È la traduzione di un intervento di Carina Chocano dell'autunno 2013.

E io, che ho perso le parole tanto tempo fa, che non so esprimermi ormai che con le parole degli altri; io, cos'altro posso aggiungere?
Che rimpiango di non averlo saputo scrivere.

giovedì 2 gennaio 2014

Ritorno

Dulce Maria Cardoso, Il ritorno
Angola, 1974. La famiglia di Rui ha atteso a lungo prima di andarsene, ma ormai dei loro vicini non è rimasto più nessuno; da un anno le strade sono piene di ribelli, uscire da soli è diventato pericoloso, a volte qualcuno sparisce per non fare più ritorno. Oggi anche Rui e i suoi saliranno su un aereo per la Madrepatria. La giornata scorre lenta, le decisioni ancora da prendere riguardano gli oggetti da portare con sé nel bagaglio, necessariamente leggero, e da abbandonare, magari bruciando quel che resta perché nessuno possa goderne al posto loro. La scelta è semplice per Rui e sua sorella, ancora adolescenti, più dolorosa per la loro madre, debole di nervi e costretta a lasciare dietro di sé i ricordi di una vita. All'improvviso però qualcuno suona alla porta: sono soldati ribelli, che arrestano il padre e lasciano la famiglia attonita e smarrita. Si imbarcano comunque, con l'aiuto di uno zio omosessuale che non intende partire, e diventano "retornados": profughi nel proprio Paese, senza denaro senza abiti e senza un luogo dove andare, sono ospitati a spese dello stato in un hotel lussuoso ma sovraffollato, dove il disordine e il degrado avanzano di giorno in giorno. In questa situazione sospesa, Rui rimpiange gli amici di un tempo e ne conosce di nuovi, si ribella ai professori, corteggia qualche compagna di scuola e fa le sue prime esperienze sessuali; ma allo stesso tempo prova a convivere con il senso di colpa per non essere riuscito a salvare suo padre, e matura la consapevolezza di essere il nuovo capo famiglia e di doversi prendere la responsabilità del futuro proprio, di sua madre e di sua sorella; in una parola, cresce. Il ritorno è dunque un romanzo di formazione, narrato dalla voce dello stesso Rui, con la delicatezza e la cruda violenza della sua età. Illusione di onnipotenza e grande smarrimento, rispetto e tradimento dell'amicizia, ottusa ribellione e senso di responsabilità, desiderio di chiassosa compagnia e ricerca di un posto solo per sé, sfida delle regole comuni e profondo senso di giustizia: tutte contraddizioni che Rui affronta con gli strumenti ancora poco raffinati di un ragazzo, e pure con un disinvoltura che gli permette di destreggiarsi e cavarsela sempre, nella faticosa conquista di se stesso. E pure, ne Il ritorno c'è dell'altro. Fin dall'inizio Rui, ragazzo, intriso di futuro, vive una nostalgia non sua, il rimpianto di una Madrepatria che non ha mai conosciuto. Ascolta i racconti di sua madre, storie di povertà e miseria, e ne coglie - con la nostalgia di luoghi e di persone, e il rimpianto per un clima più vivibile - anche il desiderio per qualcosa di perduto, un futuro luminoso che non c'è stato, e per una terra che sia Casa. Non si fa cogliere dalla malinconia, Rui; sa che suo padre lo vuole uomo, e come lui comincia a costruire un domani solido, certo che la fatica porti la giusta ricompensa. Ascolta su madre, ma anziché riandare a un passato che non conosce, trasforma anche il rimpianto in desiderio per un paese di sogno, dove le ragazze sorridono e  portano ciliegie come orecchini. Poi, il ritorno diventa reale. Non un desiderio o un timore, ma un semplice fatto doloroso; e Rui si trova privato di tutto, del suo nome perfino, nella scuola di un Paese che non lo riconosce, dove lui e gli altri come lui si equivalgono e possono, devono rispondere al nome di Retornados. Ritornati. Proprio loro che in Madrepatria non erano mai venuti, loro nati e cresciuti altrove, loro che altrove esistevano e avevano un futuro e che qui ne sembrano privati. Retornados, reduci di un viaggio a ritroso, dalla terra dove qualunque cosa fiorisce a un luogo grigio e freddo e spoglio, che non li vuole. È una cosa da vecchi, il ritorno, spetta a chi ha già vissuto. Scelta coraggiosa, quella di farlo raccontare a chi vive il tempo mobile di quando si è ragazzi, che sfugge sempre in avanti, o all'indietro, senza lasciarsi mai cogliere.

martedì 12 febbraio 2013

Resa

L'azione di arrendersi, l'abbandono di ogni resistenza di fronte al nemico.
Cosí, più o meno, l'inizio della voce Resa del dizionario Treccani.
Questa volta non mi spingo oltre, il primo significato basta e avanza. Per tutto il resto, vedere alla voce Fragile.

mercoledì 25 aprile 2012

Realtà e finzione - Un esperimento poco riuscito

More about I fattiNon pensavo che un libro di Philip Roth potesse non piacermi; scrivo questa nota per congedarmene definitivamente.

Il volume l'ho trovato, usato, a due euro e mezzo, e mi è sembrata una gran fortuna; mi sono stupita che non fosse pubblicato come gli altri da Einaudi, ora lo stupore è passato.
Ricordo che la Controvita, del 1986, mi era piaciuto perché, con l'inconciliabilità tra le diverse vicende narrate, sgombrava il campo da ogni dubbio sul 'realismo' delle storie raccontate da Roth; questi Fatti, ci dice Roth stesso appena due anni più tardi, sono la sua controvita. Un insistere ridondante su qualcosa di già detto, insomma; un sottolineare che "Nathan Zuckermann non sono io".
La lettura è stata lenta e noiosa. L'espediente della lettera a Zuckermann e della sua risposta non troppo riuscito (se pure qui il personaggio che scrive all'autore ha ragione da vendere!). Roth non è un autobiografo, Zuckermann non è un critico.

Per fortuna poi Roth è rinsavito ed è tornato a fare il suo mestiere; altrimenti, di Ho sposato un comunista non sapremmo niente, e sarebbe un peccato.

giovedì 8 dicembre 2011

Ridondante

More about Memoriale del convento
Pomposo, ripetitivo, inutilmente prolisso.
L'ho letto sentendomi persa, sempre con l'impressione che -come il manovale che costruisce il convento- non sarei riuscita a vederne la fine.
Molto Saramaghiano. Troppo.

venerdì 10 giugno 2011

Realismo depressivo

Scrive Graham Lawton -giornalista e divulgatore scientifico- su New Scientist (e io leggo, tradotto, su Internazionale):
"Quando si chiede alle persone di giudicare i loro pregi - competenza, intelligenza, onestà, originalità, affidabilità e molti altri - quasi tutte si collocano sopra la media. E con i difetti succede la stessa cosa: la maggior parte pensa di averne meno della media. [...] E la maggioranza è convinta di essere meno propenso della media ad avere un'alta opinione di sé. [...] Lungi dall'essere patologiche, però, le illusioni positive sono ritenute l'indice di una mente sana. Chi non le ha è più a rischio di depressione, uno stato noto come realismo depressivo."

Sono giorni, e notti, che questa definizione, realismo depressivo, continua ad echeggiare; sembra giunto il momento di ascoltare, approfondire, mettere a fuoco. E, visto il tema scottante e la relativa carenza di fonti, mi addentro per una volta nella e-jungla a scegliere, semplicemente, quelle che mi piacciono, o mi interessano di più.

Nella jungla incontro un tale Chris Putnam:
"This theory puts forward the notion that depressed individuals actually have more realistic perceptions of their own image, importance, and abilities than the average person. While it’s still generally accepted that depressed people can be negatively biased in their interpretation of events and information, depressive realism suggests that they are often merely responding rationally to realities that the average person cheerfully denies. [...] These problems put therapists in the curious position of teaching patients to develop irrational patterns of thinking—patterns that help them view the world as a rosier place than it really is. [...] It’s a disconcerting concept. It’s certainly easier to think of the mentally disordered as lunatics running about with bizarre, inexplicable beliefs than to imagine them coping with a piece of reality that a “normal” person can’t handle."

Ora: a parte che questa nota è scritta davvero bene, per il resto non c'è niente di nuovo; anzi, scopro che le osservazioni di questa notte, così come la nota di Putnam, l'articolo di Lawton e certamente anche dell'altro, derivano da un articolo scientifico del 1988.
Qui, peraltro, non si cerca niente di nuovo. Tutt'al più, si fanno esperimenti di ontogenesi (nella mia modestissima esperienza) della filogenesi delle parole. Prove di etimologia applicata.

Concludo (citando in traduzione inglese, chiedo venia):
“Take the life-lie away from the average man and you take away his life.” [Henrik Ibsen, The Wild Duck]

venerdì 25 marzo 2011

Relativismo

Anche a causa di questo blog, un vecchio amico mi ha accusata di relativismo.
Per qualche giorno ho sentito un forte fastidio; poi il fastidio è sfumato in consapevolezza, quindi in una sorta di orgoglio. Perciò, se ancora mi leggi: si, relativista lo sono, coltivo il dubbio, metto in discussione tutto ciò che posso, sistematicamente, e me stessa più e più spesso di qualsiasi altra cosa.

domenica 6 marzo 2011

Responsabilità

Al contrario di Giuseppe, suo marito, Maria non è timorata né giusta, ma non è certo sua la colpa di queste piaghe morali, la responsabilità è della lingua che parla, se non degli uomini che l'hanno inventata, visto che le parole giusto e timorato,semplicemente, non hanno il femminile.


[José Saramago, Il vangelo secondo Gesù Cristo]

mercoledì 16 febbraio 2011

Retrotàngo

Questa è una parola che ancora non esiste.


O meglio: ormai tutto esiste, perciò quasi certamente qualcuno ne avrà già fatto uso. Se non sbaglio, Retro Tango è anche il nome di un gruppo di tango nuevo di Montevideo. E poi c'è il Tango rétro, un po' il contrario del tango nuevo...


Ma Retrotàngo è per me una parola tutta nuova, inventata da un certo amico lettore che cerca di capire cosa ci sia "dietro" il tango: cosa pensi, cosa legga soprattutto, magari poi perfino come viva chi, quando si fa sera o notte, desidera cerca e anela a una milonga.


Retrotàngo mi sembra una bella idea, e una bellissima parola. Quadrisillaba, piana; come la prima parte di una base, l'inizio del primo tango della tanda, quando ci si avvicina, si comincia appena a conoscersi, si prendono le misure. Retro: all'indietro, come quasi tutti i passi della donna. E anche un po' rétro, come un buon tango milonguero, abbraccio stretto, ascolto di respiri, leggermente fuori moda come El Choclo in una versione del 1929, appena  più ritmato di quanto ci si aspetterebbe.


martedì 10 agosto 2010

Ramadan

Ramadan è un mese in cui non si mangia dall'alba al tramonto, e non si beve mai. Per questo, ci hanno detto, nei giorni precedenti bisogna fare molta attenzione per la strada: molti, non potendo più farlo tanto a lungo, bevono ora, e dopo guidano ubriachi. E' vero, noi li abbiamo visti.
Ramadan incomincia domani. Già da ieri, nelle moschee, c'è un'agitazione nuova. Si spostano paraventi, si passa l'aspirapolvere su infiniti tappeti, e da questa mattina su ogni minareto sventola una bandiera triangolare verde brillante, che contro l'azzurro del cielo sta bene, e fa allegria.
Ormai è buio già da un poco. Lungo i vicoletti intorno alla moschea si affrettano un po' tutti. Gli uomini non si notano molto; ma tra le donne, è tutta una risatina, tutta una corsa. Passa un gruppo di ragazzine: jeans aderenti, zainetti, sandali di vernice rossa con zeppe e tacchi alti, le unghie smaltate, vistose; e sui capelli, il velo. Passa una mamma, bellissima, e mentre affretta il passo dalla borsa estrae il suo foulard scuro; pochi passi dietro la sua bimba, scarpine bianche luccicanti, minigonna di jeans, un caschetto di capelli biondi, si affanna e, anche lei, dalla borsetta come un prestigiatore fa uscire il suo minuscolo velo: color fucsia, che sembra una piccola Winx. La moschea è piena, così pure il portico. Nel cortile i ritardatari stendono tappati su tappeti. Dalle prime file, donne già inginocchiate si alzano parlando al cellulare, si girano, cercano le amiche - vieni, che ti ho tenuto il posto! Sembra natale, ci sono anche le lampadine bianche sugli alberi. Gli uomini, si somigliano tutti; tra le donne, non ce n'è due di uguali. Ognuna ha il suo colore, il suo stile. Una ragazza magra avvolge i capelli in un velo nero che raccoglie stretto sulla nuca; sua nonna si appoggia semplicemente una stoffa sui capelli e la annoda sotto il mento. Si avvicina una ragazza: indossa sandali verdi e  pantaloni larghi bianchissimi, una maglia bianca leggera e aderente con il collo alto; sopra, un'altra maglietta larga, scollata, verde brillante, e un velo pure verde, cangiante. Risplende. Si specchia in una vetrina, si aggiusta il velo e il trucco, forse anche l'espressione degli occhi; e solo a questo punto, entra anche lei nel cortile, giusto dopo due donne sui sessanta con grandi occhiali grandi culi e capelli ossigenati.
Risuona un canto, una voce maschile che richiama alla preghiera. In pochi attimi tutte sono in ginocchio, le mamme le nonne le bambine eccitate; questa scena si, la conosco già: donne velate, negate, sottomesse, isolate dagli uomini in metà dello spazio. E pure... l'insieme è di grande bellezza, all'improvviso anche di raccoglimento; e a me sembra che sotto quei veli ci sia molta verità, e sopravviva la consapevolezza di una femminilità che noi, che osserviamo la scena dai margini del cortile, con le nostre magliette scollate e gonne corte e abbronzature studiate, non sempre riusciamo a tenere a mente.