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lunedì 24 luglio 2017

Braies

Lago di Braies, 26 agosto 2002

Questa mattina
Abbiamo cercato nel cassetto
La maglietta di cotone
E la camicia a scacchi
Abbiamo infilato i pantaloni
Alla zuava
Tu - io corti di velluto
Blu
E i calzettoni di lana
E le pedule nuove
Con la stella alpina.
Nello zaino abbiamo messo
Una coperta
Una giacca a vento
I panini con la frittata
Acqua abbondante nella borraccia
La tua grappa
La mia carta
Tabacco
Un bastone
I cerotti
Gli occhiali la crema da sole
Un quaderno di appunti
Un libro
La matita la penna
............

Si è fatto tardi
Partiremo domani
Forse.

lunedì 17 ottobre 2016

Bass / Treble

https://youtu.be/iyTTX6Wlf1Y

martedì 2 agosto 2011

Petrolio, o della Bruttezza. E della Verità.

Fondamentalmente la petroliera era una fabbrica galleggiante, e più che introdurmi a una vita esotica e smargiassa, mi insegnò a vendermi come operaio dell'industria. Adesso ero uno fra milioni, un insetto che sgobbava al fianco di innumerevoli altri insetti, e ogni mansione che eseguivo rientrava nel grande, opprimente sistema del capitalismo americano. Il petrolio era la fonte primaria della ricchezza, la materia grezza che alimentava la macchina del profitto e la teneva in corsa, e io ero soddisfatto di trovarmi dove mi trovavo, ero grato alla sorte di avermi catapultato nel ventre della belva. [...]
La bruttezza era così universale, così profondamente insita nell'accumulo di denaro, e nel potere conferito dal denaro a chi se ne arricchiva - al punto di deturpare il paesaggio, di sconvolgere il mondo naturale - che a denti stretti incominciai  a rispettarla. Vai al fondo delle cose, mi dicevo, e l'aspetto del mondo è questo. Per male che se ne potesse pensare, quella bruttezza era la verità.

[Paul Auster, Sbarcare il lunario]

martedì 24 maggio 2011

Bovarismo [bo-va-rì-smo]

s.m.: Inquietudine esistenziale provocata dal divario tra le condizioni di vita reali e le proprie aspirazioni [Il Sabatini Coletti - Dizionario della lingua italiana]
sm. [dal nome della protagonista del romanzo di Flaubert, Madame Bovary]. Indica la quotidiana insoddisfazione, il sogno dell'impossibile, lo scoramento della creatura umana languente in un mondo assai simile alla prigione, dove la vita si arresta sconfinando nel sogno di una libertà volta alle grandi cose. Il bovarismo è l'espressione di quell'ardente necessità di superare se stessi, forse sorretta dall'intuita, se pur non compresa, desolata realtà del proprio essere che impedisce di realizzarsi diversamente da come si è. L'analisi di questa contraddizione tra l'essere e la fantasia liberatrice ha trovato il suo giudice nel filosofo francese J. Gaultier de Laguionie, che ha ravvisato nel personaggio di Flaubert i sintomi di una vera e propria malattia dello spirito. [Sapere.it]

s.m. LETTER Atteggiamento di chi si ritiene diverso da quello che è, costruendosi un mondo immaginario nel quale proietta desideri e frustazioni che nascono dall'insoddisfazione per la propria condizione reale [Aldo Gabrielli - Grande Dizionario italiano]

In psicologia (dalla protagonista del romanzo Madame Bovary di G. Flaubert), tendenza a costruirsi una personalità fittizia e a sostenere un ruolo non corrispondente alla propria condizione sociale. [Treccani.it]

Quello al bovarismo (malattia testualmente contagiosa) è inoltre il sesto dei dieci diritti del lettore secondo Daniel Pennac: "E’ questo, a grandi linee, il “bovarismo”, la soddisfazione immediata ed esclusiva delle nostre sensazioni: l’immaginazione che si dilata, i nervi che vibrano, il cuore che si accende, l’adrenalina che sprizza, l’dentificazione che diventa totale e il cervello che prende (momentanemente) le lucciole del quotidiano per le lanterne dell’universo romanzesco… E’ il nostro primo stato di lettori."


E pure, e pure. Forse merita maggiore simpatia e indulgenza quell'Emma Bovary, non così incapace di cambiare ciò che non la soddisfa, coraggiosa e sfrontata quando va alla ricerca di un piacere proibito, negato, irraggiungibile e per questo assolutamente delizioso.
Bovarista non è piuttosto suo marito? Quel dottor Bovary incapace di vedere la realtà, tanto meno di modificarla. Meno reale di Emma, meno drammatico, meno concreto.

E si, allora: Emma, c'est moi. E ben venga la voracità letteraria, ben vengano i sogni ad occhi aperti, lo sguardo lucido di chi vive, e intanto vede scorrere in trasparenza le immagini del romanzo che lo aspetta fedele la sera, sul comodino accanto al letto. Ben venga il desiderio di storie. Ben venga infine la frenesia segreta di chi sorridendo cerca il modo per sottrarsi al chiasso e ritirarsi in un angolo tranquillo. A leggere.


Perché "c'è sempre un desiderio che trascina, e una convenienza che trattiene"
  

venerdì 22 aprile 2011

Barbiana

 Lettera aperta al Presidente della Repubblica
                       on. Giorgio Napolitano

                                                        11 Aprile 2011


Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti
di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè
nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere
cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che
si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi
hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura
di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in
discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra
gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta
indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci
portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori
di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e
maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte
al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il
diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla
disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non
posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è
d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore
le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono
la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste ( cioè
quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché
siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo
ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi,
addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo
all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai
giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a
buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto
investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere
sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero
contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato
che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese
integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza
dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa
come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con
varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da
cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma
in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti
nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo
l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo
di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta
che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il
custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per
chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente,
chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a
creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra
la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a
promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione.
Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte
alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale
oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via
si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni,
discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con
gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso
l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico:
questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo
spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le
proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il
suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di
tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli
anche lei.

Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali
saluti

Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido
Carotti, Mileno Fabbiani,
Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo
Martinelli, Aldo Bozzolini

lunedì 28 febbraio 2011

Contrattempi

Sbagliare strada. Perdere l’aereo. Dimenticare la carta di credito al sexy-shop. Accorgersi di non aver messo il rullino nella macchina fotografica. Buttare via la ricevuta del parcheggio dell’aeroporto. Arrivare alle 14.05 a una visita che incomincia alle 14, dimenticando che siamo in  Germania; e dover aspettare un’ora prima che cominci la prossima.

domenica 27 febbraio 2011

Berlino: il Muro

-          Cosa fa il muro di Berlino?
-          Divide a mezzo una città.
Sbagliato. Il muro non è una linea retta, ma una forma chiusa. Circonda, non scinde. Per questo la donna-angelo di cui Damiel si innamora dice che a Berlino non ci si può perdere. Il muro corre intorno a Berlino ovest, e non è più così chiaro se prigioniero sia chi è stato accerchiato, o chi è rimasto fuori.
Il muro era lungo centosessanta chilometri; e lo è ancora, solo che non lo si vede più, e ad attraversarlo si sente appena un leggero brivido. Forse un terzo del muro è ciò che siamo abituati a immaginare: pannelli di cemento colorati su un lato, e al di là case appena un po’ più tristi. Ma per oltre due terzi il muro corre tra prati alberi e ruscelli e casette di periferia e fattorie in aperta campagna, e appare se possibile ancora più insensato.

Damen

In un ristorante svevo a Schöneberg si trova la toilette femminile più accogliente che io conosca. Alle pareti, piastrelle color prugna. Sanitari rosa collocati negli angoli, con un piccolo lavandino triangolare. Sapone, carta igienica, asciugamani di carta abbondantissimi. Poi salviette umide e un cestino con salvaslip in bustina. Alla parete, vicino alla porta, uno specchio con mensola; e sulla mensola, ogni ben di dio: fazzoletti, cotton fioc, forcine decorate e semplici, poi fondotinta, lacca per capelli e ben due tipi di crema idratante!

Memoria privata


Mauerpark, domenica mattina. Al mercatino delle pulci, dentro una vecchia scatola, un album di fotografie del 1992. Viaggio a Vienna. Nozze d’oro dei nonni. Gita in campagna. Bambini che ridono.
Getto l’album nella scatola, come se fosse qualcosa di osceno. Come aver rubato.

sabato 26 febbraio 2011

Verde

Berlino est è verde chiaro, come una zuppa di piselli in scatola. Colore di case, poltrone, arredi, ogni tipo di oggetto.

Memoria civile

Berlino è una città con tanti scheletri nell’armadio.
La differenza con altri posti è che a Berlino gli armadi li aprono e provano magari a dare aria alle stanze, ma non è facile, bisognerà lasciare tutto aperto per un bel po’ prima che si possa di nuovo respirare. E intanto si vedono le ragnatele, la muffa, si sente odore di marcio e decomposizione.
Il muro non c’è più, rimane una lunga cicatrice. La fretta di costruire può aver indotto a credere che ci fosse una volontà di cancellare e di negare il passato. Forse per qualche tempo è stato vero; ma, ventidue anni dopo l’abbattimento del muro, non è questo che sta succedendo e non è questo che appare. Emergono invece i segni di una volontà diversa, di mostrare di più, di allestire qualcosa di più esplicito, di chiaro, di didattico, che aiuti a ricordare.
Fino a qui sarebbe facile: il muro è il simbolo della città, rappresenta ciò che la parte buona e positiva di Berlino è stata in grado di superare. Ma Berlino non si ferma qui. Berlino lavora per ricordare anche le proprie cattive azioni, il proprio lato oscuro. La Topografia del terrore è stata voluta dai cittadini, per mantenere traccia dei mostri. Mostri che sono “loro”, sono altri; ma che per un tedesco, un berlinese soprattutto, sono necessariamente, dolorosamente anche “noi”. Chi si occupava di eliminare gli zingari, gli ebrei, gli asociali, i malati: dopo, che fine hanno fatto, tutti? Ecco le foto di processi, ma anche di pensionati che innaffiano il giardino di casa, nonni con i nipoti, persone normali che sono normalmente tornate a vivere, magari con impieghi di riguardo nella nuova amministrazione democratica.
Poi basta attraversare il cortile di pietre scure, che sembrano ancora macerie; la cicatrice del muro; e la strada. Ed ecco il museo che espone l’archivio della StaSi, aperto appena un mese fa. StaSi: Sicurezza dello Stato. Berlino ha aperto l’archivio, ha letto, è rabbrividita: niente sarebbe stato più semplice che richiudere, negare, far sparire. Invece, ecco esposti i rapporti di ragazzi di 17 anni su loro compagni di scuola; riprese nascoste che mostrano momenti privati di persone qualunque, una coppia che passeggia, gruppetti di punk che stazionano a un incrocio, una segretaria cinquantenne al lavoro nel suo ufficio. Almeno una persona su cento era un informatore; di più in alcuni ambienti, come l’impiego pubblico. Nell’esercito si arrivava a un informatore ogni quattro soldati. Non sarebbe stato possibile processare tutti. Perciò tutti, o quasi tutti, fanno oggi la spesa negli stessi supermercati di chi un tempo osservavano.
Qualche chilometro di tram, ogni fermata annunciata e segnalata con cura, e intanto là fuori il centro diventa periferia, orientale. Si scende quando si è ormai quasi persa la speranza di arrivare. Restano da percorrere ancora alcuni isolati spogli, trascurati; in fondo alla strada, un muro. In mezzo al muro, un cancello. E dietro il cancello, la principale delle sedici prigioni della StaSi. Perché Berlino è capitale, e lo è sempre. Torture fisiche in ossequio alla tradizione staliniana. Dopo il 1953, ambienti accoglienti, metodi più umani: solo violenza psicologica. Chi accompagna i turisti a visitare celle e sale per gli interrogatori sono oggi ex prigionieri. Quelli che ne sono usciti con un equilibrio mentale sufficiente; gli altri, no.
Anche qui, sarebbe stato semplice chiudere il cancello e attendere che il tempo galantuomo passasse anche di qui. Come, di nuovo in centro, sarebbe stato semplice, e conveniente, costruire grattacieli o centri commerciali; invece, Berlino ha dedicato un intero isolato a due passi dalla Porta di Brandeburgo ai blocchi cupi del memoriale dell’Olocausto. Ha lasciato uno spazio vuoto dove un tempo sorgeva, e si inabissava nel terreno, il bunker di Hitler.

Berlin, Alexanderplatz

La fontana è circondata da centri commerciali. I turisti sono gli stessi, uguali i venditori ambulanti di bratwurst. Uguale anche il sole velato dalla cappa di smog che crea quella luminescenza quasi poetica, visibile atterrando di notte a Berlino.
E pure, ventidue anni non sono bastati a rendere le due Berlino confondibili tra loro. E’ rimasta qui una patina di paese socialista, e attraversare la città a bordo di un autobus permette di immergervisi poco alla volta. E gradualmente, lasciandosi alle spalle la grande antenna televisiva, i palazzi cominciano a somigliarsi l’un l’altro, tutti con le stesse finestre quadrate a distanze regolari, senza mai un balcone, senza mai niente di decorativo. Funzione. Funzione. Funzione abitativa. Omologazione degli abitanti, uguaglianza forzata, appiattimento del pensiero.
Palazzo piastrellato in toni rosa, arancio e salmone. Giardino alberato. Palazzo piastrellato di bianco con elementi verdi. Giardino alberato. Palazzo intonacato a fasce bianche e azzurre. Palazzo intonacato a fasce bianche e rosse. Palazzo intonacato a fasce bianche e ocra. Giardino alberato. Palazzo color sabbia e mattone. Giardino alberato. Complice la stagione, che rende brulli e poco invitanti i giardini, il paesaggio è desolato.

venerdì 25 febbraio 2011

Grigio

Passeggiare nel memoriale dell’olocausto verso il tramonto, scendere tra i blocchi sempre più alti, sempre più cupi. Tutto è così grigio che pare di essere morti.

Esterno, giorno

Avvicinare Berlino partendo da Potsdamerplatz disorienta. Si esce dalla terra, dalla U-bahn, ed ecco vetro, acciaio, forme audaci, spigoli vivi: troppi dettagli richiamano l’attenzione, i sensi sono attratti e distratti. Mancano i punti di riferimento, serve qualcosa da cui partire per prendere le misure.

Potsdamerplatz: tutto è nuovissimo, potrebbe essere l’ennesimo non-luogo costruito in mezzo al nulla; invece è un Luogo sovraccarico di storia. Piazza vivacissima, poi nulla. Ma proprio nulla, terra bruciata, tabula rasa. Annientamento della memoria. Il muro taglia a metà lo spazio vuoto, per qualche tempo un viadotto sospeso ne oscura la luce. Quindi, di nuovo vita: spazio bianco da reinventare. E allora su, verso l’alto – palazzi, audacia. E verso il basso, a popolare il sottosuolo a renderlo di nuovo percorribile, tra le due metà di una città orgogliosa.
Spaesamento. Bisogno di orientarsi e capire. Non per niente proprio qui hanno aperto il PanoramaPunkt: ventiquattro piani a una velocità inusitata, e tutto appare più chiaro. A nord: un palazzo trasparente, il reichstag, il memoriale dell’olocausto. Est: Leipzigplatz, una sorta di nordica Piazza esedra. Sud: uno sconfinato quartiere in costruzione, luccicante di sole gelido. A ovest ci si può affacciare soltanto dal Panorama Café, là si trova il centro culturale della città nuova, musei gallerie e la sede più recente della Biblioteca Nazionale.

giovedì 24 febbraio 2011

Interno berlinese

La Casa si trova in cima a una scala ripida con corrimani in ciliegio e teste di angeli e putti di gesso, da una parete pende un foglio stampato da un inquilino arrabbiato per qualcosa. La Casa ha pavimenti in legno chiaro, robusto, non lucidato; e soffitti alti e bianchi, decorati con cornici e rosoni di stucco. Dentro, tanti mobili Ikea e qualcosa dal mercatino delle pulci o comperato su ebay: proprio come diceva la guida turistica. Le finestre sono ampie, molto luminose, incorniciate da archi. Porte a doppia anta con architravi importanti in legno dipinto di bianco, come la carta da parati a leggero rilievo.
Dettagli, dettagli, dettagli…
Ma qui, sessant’anni fa, non c’era niente: tutto distrutto dai bombardamenti, i palazzi sopravvissuti si conoscono e si possono contare. E’ stato tutto ricostruito, e ricostruito così: non anonimi cubi di cemento, da realizzare in fretta e abitare subito, senz’anima. Ma Case, vere Case, fatte per viverci realmente, per sentirne il calore, perché siano accoglienti e vive.
Berlino è ua città ricostruita da qualcuno che ci ha voluto credere.


Grazie a Paolo che ci ospita, e a Cristina.

Berlino, quella vera

Berlino è Paolo che ci aspetta sul binario alla diciottesima stazione, e una carrozza di metrò arredata come una vecchia Tabbert, dove mancano soltanto i centrini ricamati. Einstegen, bitte. Zurückbleiben, bitte. E’ una piazza gelida e ordinata, marciapiedi larghi, incroci pedonali e tavolini all’aperto come fosse estate. Tutto lindo e quieto, e altalene per bambini senza scritte a pennarello.

Berlino intermedia

C'è poi una Berlino più recente, cercata e voluta. E' la città delle ultime settimane, quella soprattutto degli ultimi giorni, quella del tempo passato a desiderarla e attenderla.
Berlino è ora una città di angeli, con una colonna altissima e sopra una vittoria angelica ed alata, a sorvegliarla. Berlino ha ora palazzi come grattacieli, il suo muro si è sdoppiato in due muri gemelli, con torrette di guardia e gendarmi e stivali che percorrono lo spazio vuoto nel mezzo.
Nella Berlino intermedia è comparsa una meravigliosa biblioteca, tutta scale in metallo bianco e scaffali a vista, luogo di raccoglimento e di pensiero.
Berlino è ora luogo di periferie recenti e confuse, mentre nel centro la musica esce da cantine e sottoscala, percorre d'estate le spiagge sulla Sprea. Tutto è più vivace, i colori più accesi, e la gente, tanta, ora ride. I bicchieri di birra sono più grandi, hanno schiuma più densa, e si accompagnano a grossi wurst pieni di senape. A volte c'è perfino il sole, in questa Berlino intermedia, e tante cose da fare. Si può salire su un autobus a due piani per esempio, e ascoltare qualcosa in un'auricolare che parla quattro lingue diverse. La Berlino intermedia somiglia di più ad altre capitali europee, offre una MuseumCard per visitare sessanta musei in tre giorni, un BerlinPass per prendere tutti i treni nelle zone A e B, perché Berlino ora ha delle zone A e B  ma sono concentriche, e nessun muro le divide, anzi c'è anche una zona C dove si trova l'aeroporto dove atterrano i voli low-cost carichi di comprerà il BerlinPass e forse qualcuno anche la MuseumCard, ma pochi.
Nei musei della Berlino intermedia si trova di tutto. Una quantità di oggetti tolti a una Grecia troppo ricca di tesori, agli occhi degli ottocenteschi seguaci di Winckelmann. Poi un museo per la Shoah, uno per il currywurst, una galleria a ntica e una moderna, il bunker naturalmente, e ancora tanta e tanta e tanta e tanta architettura.... Poi anche altre cose, i tatuaggi, il tango... ma è difficile ricordare tutto, le guide turistiche (intese come libri) esistono apposta, e i siti internet, e per fortuna anche gli amici ospitali.

Berlino, prima di Berlino

Berlino prima di Berlino è un'immagine sfocata. A colori, ma sbiaditi, e pure luminosi. E' un luogo di trent'anni fa, percorso da molti giovani, di quei giovani veri di diciotto o vent'anni, non quegli stessi che oggi hanno superato la mezza età e si continua a chiamarli così. Quelli, che poi saremmo noi.
Berlino prima di Berlino è grigia e percorsa da ragazzi magri con pantaloni neri e orecchini dispari e spille da balia un poco ovunque; da ragazze molto truccate con i capelli molto biondi e cotonati, e un certo pessimo gusto diffuso, che non si sa se sia più dovuto ai tempi o al luogo.
Berlino prima di Berlino è anche una strada con poche macchine, vento che fa rotolare cartacce, e molto freddo.
Poi Berlino è anche un muro, alto più o meno così, molto colorato da una parte, dall'altra non so. Perché dall'altra parte del muro, non c'è niente. Case ancora più grigie, strade ancora più deserte, forse fa anche più freddo. Le poche macchine sono vecchie, sgraziate, rumorose. Uomini e donne sono pallidi e magri, e non ridono quasi mai. Questa Berlino che non c'è somiglia alla Polonia di Tarkovskij, e ci nevica spesso.
Ancora, Berlino prima di Berlino è una vecchia immagine con molto nero e molto rosso, e quando si fa sera si accende un fuoco. Scene confuse, affollate; sopra il muro un uomo, poi molti, e tanto rumore, e musica rock, e locali fumosi perché ancora si può fumare, e fumano in tanti, a Berlino, e anche di birra ne scorre parecchia. E nella Berlino prima di Berlino c'è o c'era uno zoo, o almeno una stazione della metropolitana che si chiama così.
Sotto il cielo velato di Berlino prima di Berlino ci sono anche immagini in bianco e nero, di altri 35 più vecchie. Fotogrammi incerti e tremanti, edifici in rovina e ancora nebbia, che forse è polvere o fumo, che sale dalle pietre dei palazzi crollati. Sotto, una povera umanità. E da qualche parte, chi sa dove, c'è un bunker, immagino una sorta di container di cemento, sepolto sotto terra. 

Questa è Berlino prima di Berlino: iniziale, originaria, archetipica, sedimentata negli anni.

domenica 14 novembre 2010

Boleo

domenica 8 agosto 2010

Bosnia. Il catalogo è questo.

Passiamo il confine alle 21.30. Abbiamo percorso quasi quattrocento chilometri di autostrada croata, tutti scorrevoli, puliti, monotoni. Ora è buio pesto, ma la strada è comunque più illuminata e in condizioni migliori
rispetto alle nostre vaghe e un po' cupe aspettative. Per qualche decina di chilometri è tutto un susseguirsi di distributori di benzina, tantissimi, dai nomi sconosciuti (scopriremo poi che qui è possibile dare al distributore il nome di famiglia, o uno di fantasia come a qualsiasi altro negozio: benzina Mario Rossi e Figli, ma anche, e ci hanno pensato di sicuro, NonSoloDiesel) e tutti aperti fino a tardi, presidiati da ragazzi e ragazze che, come in qualsiasi altro posto, vendono coca cola e gomme da masticare. Ci chiediamo dove trovino clientela, tutti questi distributori; ma ecco che di fianco alla macchina vediamo scorrere depositi di pneumatici, parcheggi di camion, fabbriche di ceramiche, di infissi per finestre, di pvc, e poi depositi con pile di pallet, di mattoni, di grandi oggetti indecifrabili in metallo; e poi caffè, discoteche, motel e un'infinità di sale da bingo. Il traffico è intenso e molto scomposto, e lungo la strada, nel buio più completo, è una sfilata continua di ragazzi e ragazze che camminano, da soli, in coppia o in gruppo, davanti a case impossibili, tutte recenti, a due o tre piani, barocche di balconi bovindi vetrate verande, e ancora archi, torrette e decori, molte non ancora intonacate ma già abitate, con la biancheria stesa in balconi senza ringhiera, costruite magari sotto il piano stradale, senza gusto, senza cura. Siamo entrati in Bosnia, e questo è ciò che abbiamo visto.