Passiamo il confine alle 21.30. Abbiamo percorso quasi quattrocento chilometri di autostrada croata, tutti scorrevoli, puliti, monotoni. Ora è buio pesto, ma la strada è comunque più illuminata e in condizioni migliori
rispetto alle nostre vaghe e un po' cupe aspettative. Per qualche decina di chilometri è tutto un susseguirsi di distributori di benzina, tantissimi, dai nomi sconosciuti (scopriremo poi che qui è possibile dare al distributore il nome di famiglia, o uno di fantasia come a qualsiasi altro negozio: benzina Mario Rossi e Figli, ma anche, e ci hanno pensato di sicuro, NonSoloDiesel) e tutti aperti fino a tardi, presidiati da ragazzi e ragazze che, come in qualsiasi altro posto, vendono coca cola e gomme da masticare. Ci chiediamo dove trovino clientela, tutti questi distributori; ma ecco che di fianco alla macchina vediamo scorrere depositi di pneumatici, parcheggi di camion, fabbriche di ceramiche, di infissi per finestre, di pvc, e poi depositi con pile di pallet, di mattoni, di grandi oggetti indecifrabili in metallo; e poi caffè, discoteche, motel e un'infinità di sale da bingo. Il traffico è intenso e molto scomposto, e lungo la strada, nel buio più completo, è una sfilata continua di ragazzi e ragazze che camminano, da soli, in coppia o in gruppo, davanti a case impossibili, tutte recenti, a due o tre piani, barocche di balconi bovindi vetrate verande, e ancora archi, torrette e decori, molte non ancora intonacate ma già abitate, con la biancheria stesa in balconi senza ringhiera, costruite magari sotto il piano stradale, senza gusto, senza cura. Siamo entrati in Bosnia, e questo è ciò che abbiamo visto.
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