lunedì 25 agosto 2014

Amare - Prendersi cura



An amazing feeling coming through...

I was born to love you with every single beat of my heart
Yes I was born to take care of you
Every single day of my life

You are the one for me, I am the man for you
You were made for me, you're my ecstasy
If I was given every opportunity, I'd kill for your love
So take a chance with me, let me romance with you
I'm caught in a dream and my dreams come true
Its so hard to believe this is happening to me
An amazing feeling coming through

I was born to love you with every single beat of my heart
Yes I was born to take care of you
Every single day of my life

I wanna love you, I love every little thing about you
I wanna love you love you love you
(Born) to love you (born) to love you yes (Born) I was born to love you
(Born) to love you (born) to love you every single day of my life
I was born to take care of you, every single day of my life

Alright! hey! hey!
Every single day of my life

I was born to love you with every single beat of my heart
Yeah I was born to take care of you honey, every single day of my life

domenica 24 agosto 2014

Amare - Creare

Massimo Gramellini, ancora lui.


Caro Filèmone,  
mi trovo a Rapa Nui da qualche giorno e ti scrivo dalle pendici del vulcano di Rano Raraku, dopo una di quelle meravigliose scarpinate spezza-ossessioni che tu tanto sponsorizzi. 
Un moai steso sul fianco sembra guardarmi negli occhi e promettermi che tutto andrà bene… Mi affascinano queste facce enormi, con le labbra serrate, come a volerlo mantenere loro per prime, il segreto che le riguarda. Sono state costruite per augurare buona pesca e buona vita a tutti? Sono tombe? Divinità? 
Bill, il proprietario della pensione dove alloggio, mi ha raccontato che nessuno può dirlo. E’ un vecchio austriaco con lo sguardo di chi ne ha viste tante, forse addirittura troppe: e non è un caso che, a un certo punto, abbia deciso di trasferirsi qui dove non c’è niente da imparare, ma solo misteri da accettare. Non è un caso nemmeno che qui ci sia finita io, me ne rendo conto giorno dopo giorno. 
«Quante domande vi fate, voi!», mi ha detto oggi Ramana, la ragazza che aiuta in cucina Edith, la moglie di Bill. Con «voi» intendeva noi tutti che non facciamo parte dei duemila abitanti dell’isola. Sembra sinceramente divertita dal nostro bisogno di domande. E su tutte, quella che le pare più assurda è: figli sì o figli no? 
«Mia madre ha venticinque fratelli… Io ne ho quattordici. Praticamente siamo tutti parenti, a Rapa Nui», mi ha spiegato Ramana. «Come è possibile non avere figli?»
Si è messa a ridere, mora e un po’ magica. Molto diversa dalle persone che scrutavano Leonardo e me, e senza chiedercelo ce lo chiedevano: perché non fate un figlio? Quelle persone, diresti tu, ci giudicavano. Ramana non giudica: si stupisce, come una bambina. Il suo stupore mi arriva dentro, dove quella domanda, naturalmente, c’è. Raschia. 
Perché non abbiamo avuto un figlio, Leonardo e io? 
Magari ci saremmo messi in salvo. Ci avrebbe messi in salvo lui. 
Chi può dirlo? Tu, naturalmente. 
Giò 


Nascere per salvare il matrimonio dei propri genitori: pensa con che peso sarebbe venuta al mondo, quella creatura. 
Se i moai potessero aprire bocca, forse direbbero che i figli vanno fatti per il bene dei figli: non dei padri e nemmeno delle madri. 
L’amore assomiglia a Ramana: si stupisce delle domande e non ne fa. 
Non ha un perché. E’ il perché. 
E il suo perché è il desiderio di generare qualcosa che ci sopravviva. Un figlio. Fisico, oppure spirituale. Infatti non esiste solo la fecondità del corpo. Anche l’anima può fecondare e venire ingravidata. Anche l’anima, come il corpo, può eccitarsi davanti alla bellezza e provare la pulsione irresistibile di creare qualcosa che le sopravviva.
Nel Simposio, Platone ha rivelato agli esseri umani una verità di quattro parole che contiene tutto quanto è necessario sapere. 
Soltanto chi ama crea. 
Sì, Giò, hai compreso bene. L’amore è l’energia dell’Universo, ma non a tutti è dato di entrarvi in contatto. Si impossessa soltanto di chi ama. Se invade il suo corpo, porterà alla nascita di una creatura. Se invece gli invade l’anima, genererà qualcos’altro. Genererà delle opere. 
Il catalogo di questi figli dello spirito non comprende solo le arti, ma si esprime in una gamma che investe ogni aspetto dell’esistenza. L’Universo saluta con gioia qualsiasi desiderio verso cui l’amante diriga la sua energia. Perciò sentiti libera di amare un progetto, un’alba, una comunità, un ideale. Ma sappi che sarai veramente viva soltanto se amerai qualcosa o qualcuno.
Tu e Leonardo eravate una coppia sterile. Creavate infelicità. Entrambi ammalati di infantilismo, vi mostravate al mondo concentrati su voi stessi e paralizzati dalle responsabilità. E’ preferibile che non faccia figli chi si sente ancora un figlio. Diventa madre dentro di te e ti garantisco che lo diventerai anche all’esterno: di una creatura fisica, come di una qualunque idea che avrai concepito con amore e di cui con amore saprai seguire la crescita.
Mi potresti replicare che gli esseri umani hanno una capacità straordinaria di adattamento e che tante donne immature si sono scoperte adulte proprio in seguito a una gravidanza: se avessero aspettato di essere pronte, non lo sarebbero state mai.
E’ la verità, ma conosci già la mia risposta: ciò che ci accade è sempre giusto e perfetto. Se a te non è successo, significa che la tua esperienza in questa vita doveva essere un’altra. Non avere figli. Averli con qualcuno che non fosse Leonardo. Oppure averli con lui, ma solo se sarete riusciti a diventare una coppia di danzatori immersi nell’armonia della vostra musica e non più due burattini di legno che si pestano i piedi a vicenda. 
Filémene

giovedì 21 agosto 2014

Invidia


E' con i cattivi sentimenti che si fanno i buoni romanzi.
Aldous Huxley (credo)

giovedì 14 agosto 2014

Libertà


Grazie, Wired.



I media decidono “perché” ci si uccide. Di Robin Williams e del “discorso” che esorcizza la libertà degli umani

(foto: Getty Images)
(foto: Getty Images)
Decidono alla velocità della luce. Era depresso. Si è ucciso. Ciò che è detto in California, è detto ovunque. La diagnosi avvolge l’universo informativo alla velocità elettrica che porta l’informazione. Eppure, che qualcuno desse la sua versione della tua libertà, è ciò che accadeva quando ci riscaldavamo con i tocchi di legno.
Non è una novità. Ma quando succede per un personaggio che tutti conoscono lo noti ancora di più. Questa forza dei media di dotare l’evento di un senso che entra a far parte dell’evento stesso. Che riconosci come falso, ma non riesci a fermare, come un cattivo odore nell’aria. “Lui si è ucciso perché era depresso”. Ecco che la “realtà” è costruita. E i social media rafforzano lo strato di pregiudizio, solidificano la convinzione planetaria, la rendono inscalfibile pena lo stigma e la condanna del contestatore.
A questo punto i politici possono dare il via al loro delirio. Ed è quasi normale che oggi ci sia chi si chiede se non si debba far qualcosa per “prevenire”. La “camicia di forza” sta sempre nell’inconscio della politica, anche di quella più liberale.
E invece bisognerà gridare con tutta la poca forza che rimane, anche se ci si trova da soli, che loro non hanno in mano una prova, come quando decidono il colpevole di una catastrofe. Bisognerà dirglielo, che il nesso fra depressione e suicidio non è mai sperimentalmente provato, se non nel mondo delle loro statisticuzze manipolate e delle loro teorie di medio raggio. Ripetere che psichiatri e psicologi quando escono dal loro studio ed entrano in uno studio televisivo, in una redazione o in un social network sono funzionari dell’ordine sociale, del “non si deve”, del divieto. Come quelli che, nominati consulente di un giudice, “sanno” già che l’imputato è  colpevole perché in realtà non conoscono la linea di confine fra “consulere” e decidere, tra il diritto e le concezioni del mondo. Non stanno al loro posto. Esondano nelle menti altrui.
La libertà di morire non si identifica qui e subito con la depressione. Il desiderio di non andare più avanti, di scendere dal treno non solo non è un reato – come invece avviene negli ordinamenti più criminali – ma è una idea con una sua dignità e una sua continua presenza lungo tutto il corso della vita. Che dice a tutti noi che la morte è realtà, questo è il crimine che chi la pratica commette. Eppure, come scriveva Vladimir Nabokov, “La culla dondola sull’abisso”. Noi “stiamo per” morire, dal momento dalla nascita. Paura eh? Meglio chiamare lo specialista.
Bisognerà pur smetterla di criminalizzare e medicalizzare tutto ciò che la società non approva moralmente. Il riflesso condizionato che fa scattare la misura repressiva sulla base del disgusto o del terrore dovrà spezzarsi una buona volta. E uno di questi modi sarà legalizzare l’eutanasia e il diritto di morire, per dire di un tema contiguo a quello del suicidio “puro”.
Ma anche quello della buona morte è un recinto stretto. Il desiderio di morire non appartiene solo a chi è in metastasi o a chi – trombe dell’apocalisse, suonate – “era drogato”, a questo punto è un sabba di fantasmi neri. Sciocchi.
Si può voler morire perché si è persa l’unica persona che nel mondo desse a te una ragione di vivere, e non c’è nessuna sanità prescritta nel “riprendersi”. Si può voler morire perché, dopo aver fatto tutto quello che di meglio potevi fare nella vita, senti di aver varcato la linea d’ombra e il pezzo in ombra tu non vuoi percorrerlo – e non c’è ciancia di religioso che tenga. Si può “voler” morire perché così senti.
Morire non è solo il diritto del malato. La morte è una idea non-malata. Non dico sana, solo perché non so cosa sia “sana.” E la parola dei media dovrebbe smetterla di piantare le bandierine della banalità e dell’idiozia di senso sopra ciò che non si spiega. La necessità di chi fa i titoli non può limitare la libertà delle persone. Fino a quando non accade questo, la libertà non esiste, e ogni media equivale all’inquisitore seicentesco, che impone il suo senso con la tortura.