Scrive Graham Lawton -giornalista e divulgatore scientifico- su New Scientist (e io leggo, tradotto, su Internazionale):
"Quando si chiede alle persone di giudicare i loro pregi - competenza, intelligenza, onestà, originalità, affidabilità e molti altri - quasi tutte si collocano sopra la media. E con i difetti succede la stessa cosa: la maggior parte pensa di averne meno della media. [...] E la maggioranza è convinta di essere meno propenso della media ad avere un'alta opinione di sé. [...] Lungi dall'essere patologiche, però, le illusioni positive sono ritenute l'indice di una mente sana. Chi non le ha è più a rischio di depressione, uno stato noto come realismo depressivo."
Sono giorni, e notti, che questa definizione, realismo depressivo, continua ad echeggiare; sembra giunto il momento di ascoltare, approfondire, mettere a fuoco. E, visto il tema scottante e la relativa carenza di fonti, mi addentro per una volta nella e-jungla a scegliere, semplicemente, quelle che mi piacciono, o mi interessano di più.
Nella jungla incontro un tale Chris Putnam:
"This theory puts forward the notion that depressed individuals actually have more realistic perceptions of their own image, importance, and abilities than the average person. While it’s still generally accepted that depressed people can be negatively biased in their interpretation of events and information, depressive realism suggests that they are often merely responding rationally to realities that the average person cheerfully denies. [...] These problems put therapists in the curious position of teaching patients to develop irrational patterns of thinking—patterns that help them view the world as a rosier place than it really is. [...] It’s a disconcerting concept. It’s certainly easier to think of the mentally disordered as lunatics running about with bizarre, inexplicable beliefs than to imagine them coping with a piece of reality that a “normal” person can’t handle."
Ora: a parte che questa nota è scritta davvero bene, per il resto non c'è niente di nuovo; anzi, scopro che le osservazioni di questa notte, così come la nota di Putnam, l'articolo di Lawton e certamente anche dell'altro, derivano da un articolo scientifico del 1988.
Qui, peraltro, non si cerca niente di nuovo. Tutt'al più, si fanno esperimenti di ontogenesi (nella mia modestissima esperienza) della filogenesi delle parole. Prove di etimologia applicata.
Concludo (citando in traduzione inglese, chiedo venia):
“Take the life-lie away from the average man and you take away his life.” [Henrik Ibsen, The Wild Duck]
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