Non pensavo che un libro di Philip Roth potesse non piacermi; scrivo questa nota per congedarmene definitivamente.
Il volume l'ho trovato, usato, a due euro e mezzo, e mi è sembrata una gran fortuna; mi sono stupita che non fosse pubblicato come gli altri da Einaudi, ora lo stupore è passato.
Ricordo che la Controvita, del 1986, mi era piaciuto perché, con l'inconciliabilità tra le diverse vicende narrate, sgombrava il campo da ogni dubbio sul 'realismo' delle storie raccontate da Roth; questi Fatti, ci dice Roth stesso appena due anni più tardi, sono la sua controvita. Un insistere ridondante su qualcosa di già detto, insomma; un sottolineare che "Nathan Zuckermann non sono io".
La lettura è stata lenta e noiosa. L'espediente della lettera a Zuckermann e della sua risposta non troppo riuscito (se pure qui il personaggio che scrive all'autore ha ragione da vendere!). Roth non è un autobiografo, Zuckermann non è un critico.
Per fortuna poi Roth è rinsavito ed è tornato a fare il suo mestiere; altrimenti, di Ho sposato un comunista non sapremmo niente, e sarebbe un peccato.
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