Poi qualcosa che non era sgomento e non era sollievo. Riconoscere chi? Non era lui, non era lì, non era altrove.
Dove vanno, quelli che non ci sono più? Che non percorrono le nostre stesse strade, che non vedono le stesse luci al margine. Davvero sono là, sono quelle ombre che ci sembra di scorgere? O forse quelli che ci sembra di intravvedere sono soltanto gli occhi di quando eravamo ragazzi / che ora tornano per spaventarci. Il corpo morto è un guscio vuoto, chi abbiamo amato non è questa carcassa, non è qui; e pure, non è più nemmeno altrove, non è più. Restiamo noi, con la pelle troppo sottile per sopportare la vita e il ricordo e la tenerezza straziante.
Difficile, scrivere del libro di Gian Mario. Perché la biografia emerge sempre, e gli occhi rossi con lo sguardo rimasto vigile, quasi scanzonato, me li ricordo bene. Perché ogni pagina mi toglie uno strato di pelle, e di carne, e mi sfinisce. Perché la copertina è di Claudio, e anche questo vuol dire.
Lascerò ad altri di misurare quando, e quanto, e come Villalta faccia il verso a Zanzotto, e con che esito. Io, mi tengo la luce dei lampioni accanto agli svincoli, le sere fredde e umide, i campi e la campagna dove dev'essere stato bello crescere, per gli animali soprattutto. E scrivo questa scarna recensione, per me sola; perché
Ora è diverso, tutto più incompiuto.
Quasi quaranta anni e solo adesso
so che possiedo poco della vita, e regalato.
Invece ho pagato quello che non ho avuto
e ho conosciuto con il desiderio
e le parole: non è la parte migliore
di me, però le stanze di una casa vuote
fanno la pioggia più grande, più bianco il sole.