Il glossario di bordo tace da un po' ma, anche se in trasferta non può contare sul fido Zingarelli 2005, anche a occhio - anzi, a orecchio - sa che il silenzio è assenza di rumore; a parte forse in un caso, quello dell'uso militare della parola, in cui silenzio significa il suono di una tromba.
In questi giorni, si è molto sentito parlare di silenzio: quello che segue il crollo, quello che precede il coro con cui chiamare chi forse è ancora sotto le macerie, quello che è dovuto alle vittime, quello di chi non ha più niente da dire. A tanto parlar di silenzio aggiungo il mio ammutolimento davanti alla pubblicazione del database delle vittime del terremoto d'Abruzzo: ordinabili per cognome, a verificare quanti di una stessa famiglia se ne siano andati; per data di nascita, a indagare chi fosse il più giovane e chi il più vecchio, se sia più insensato andarsene di pochi giorni o di cento anni; per luogo d'origine, così da permetterci di immaginare vite che non si sono mai spostate da un paese minuscolo e altre che erano partite per cercare di costruire qualcosa di diverso; per sesso, a contare se il terremoto abbia mietuto più tra gli uomini o tra le donne. E poi il campo "ricerca", per far provare il brivido del gioco d'azzardo a chi vorrebbe rintracciare amici e conoscenti, e spera solo che l'esito sia "nessun risultato".
Trovo che tutto questo sia osceno, forse più delle miriadi di fotografie che ci mostrano dolori privati e momenti che dovrebbero essere intimi. O forse altrettanto, se non perché alle foto ormai siamo abituati. E intanto, i tg si vantano dell'audience.
Troppo chiasso; meglio tacere.
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