Cosa ci si aspetta da un libro fotografico intitolato "I caffè di Buenos Aires"? Evidentemente, delle foto dei caffè di Buenos Aires: vecchi tavoli con vecchie bottiglie, tazze usate, specchi consunti, sigarette di personaggi pensosi e assorti, e poi naturalmente tacchi, gambe, schiene nude, giovani donne abbracciate da uomini rugosi. Poi magari un po' di contesto, strade e palazzi scalcinati, qualcosa su Plaza de Mayo, improbabili botteghe.
Bene: c'è tutto. Le foto sono belle, sporche al punto giusto, ben impaginate, ottima carta non troppo lucida non troppo opaca, insomma davvero tutto a posto.
Bene: c'è tutto. Le foto sono belle, sporche al punto giusto, ben impaginate, ottima carta non troppo lucida non troppo opaca, insomma davvero tutto a posto.
Poi, ci sono i testi. E qui davvero qualcosa sfugge. Pagine e pagine di diario di viaggio che non decolla, appunti personali poco o punto rielaborati, il testo non riesce a diventare interessante, a superare quanto meno l'interesse affettivo e di memoria personale che hanno tutti gli appunti di tutti i viaggi di tutti noi.
I racconti presentano degli spunti poetici; ma anche qui, è come se non riuscissero a svilupparsi, a diventare magici, o a diventare politici; rimangono abbozzi con un senso di provvisorio e di già visto.
I racconti presentano degli spunti poetici; ma anche qui, è come se non riuscissero a svilupparsi, a diventare magici, o a diventare politici; rimangono abbozzi con un senso di provvisorio e di già visto.
Peccato.
Nessun commento:
Posta un commento