parole scritte o dette, parole in versi o in prosa, parole per convincere o per ricordare, per confidarsi, redimersi o mentire: questo spazio è dedicato alla lettura, alla scrittura, e alla vita.
domenica 24 aprile 2011
venerdì 22 aprile 2011
Barbiana
Lettera aperta al Presidente della Repubblica
on. Giorgio Napolitano
11 Aprile 2011
Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti
di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè
nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere
cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che
si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi
hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura
di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in
discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra
gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta
indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci
portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori
di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e
maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte
al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il
diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla
disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non
posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è
d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore
le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono
la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste ( cioè
quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché
siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo
ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi,
addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo
all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai
giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a
buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto
investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere
sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero
contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato
che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese
integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza
dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa
come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con
varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da
cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma
in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti
nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo
l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo
di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta
che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il
custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per
chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente,
chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a
creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra
la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a
promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione.
Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte
alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale
oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via
si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni,
discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con
gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso
l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico:
questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo
spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le
proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il
suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di
tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli
anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali
saluti
Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido
Carotti, Mileno Fabbiani,
Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo
Martinelli, Aldo Bozzolini
on. Giorgio Napolitano
11 Aprile 2011
Signor Presidente,
lei non può certo conoscere i nostri nomi: siamo dei cittadini fra tanti
di quell'unità nazionale che lei rappresenta.
Ma, signor Presidente, siamo anche dei "ragazzi di Barbiana". Benchè
nonni ci portiamo dietro il privilegio e la responsabilità di essere
cresciuti in quella singolare scuola, creata da don Lorenzo Milani, che
si poneva lo scopo di fare di noi dei "cittadini sovrani". Alcuni di noi
hanno anche avuto l'ulteriore privilegio di partecipare alla scrittura
di quella Lettera a una professoressa che da 44 anni mette in
discussione la scuola italiana e scuote tante coscienze non soltanto fra
gli addetti ai lavori.
Il degrado morale e politico che sta investendo l'Italia ci riporta
indietro nel tempo, al giorno in cui un amico, salito a Barbiana, ci
portò il comunicato dei cappellani militari che denigrava gli obiettori
di coscienza. Trovandolo falso e offensivo, don Milani, priore e
maestro, decise di rispondere per insegnarci come si reagisce di fronte
al sopruso. Più tardi, nella Lettera ai giudici, giunse a dire che il
diritto - dovere alla partecipazione deve sapersi spingere fino alla
disobbedienza: “In quanto alla loro vita di giovani sovrani domani, non
posso dire ai miei ragazzi che l'unico modo d'amare la legge è
d'obbedirla. Posso solo dir loro che essi dovranno tenere in tale onore
le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono
la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste ( cioè
quando avallano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché
siano cambiate”.
Questo invito riecheggia nelle nostre orecchie, perché stiamo assistendo
ad un uso costante della legge per difendere l'interesse di pochi,
addirittura di uno solo, contro l'interesse di tutti. Ci riferiamo
all’attuale Presidente del Consiglio che in nome dei propri guai
giudiziari punta a demolire la magistratura e non si fa scrupolo a
buttare alle ortiche migliaia di processi pur di evitare i suoi.
In una democrazia sana, l'interesse di una sola persona, per quanto
investita di responsabilità pubblica, non potrebbe mai prevalere
sull'interesse collettivo e tutte le sue velleità si infrangerebbero
contro il muro di rettitudine contrapposto dalle istituzioni dello stato
che non cederebbero a compromesso. Ma l'Italia non è più un paese
integro: il Presidente del Consiglio controlla la stragrande maggioranza
dei mezzi radiofonici e televisivi, sia pubblici che privati, e li usa
come portavoce personale contro la magistratura. Ma soprattutto con
varie riforme ha trasformato il Parlamento in un fortino occupato da
cortigiani pronti a fare di tutto per salvaguardare la sua impunità.
Quando l'istituzione principe della rappresentanza popolare si trasforma
in ufficio a difesa del Presidente del Consiglio siamo già molto avanti
nel processo di decomposizione della democrazia e tutti abbiamo
l'obbligo di fare qualcosa per arrestarne l'avanzata.
Come cittadini che possono esercitare solo il potere del voto, sentiamo
di non poter fare molto di più che gridare il nostro sdegno ogni volta
che assistiamo a uno strappo. Per questo ci rivolgiamo a lei, che è il
custode supremo della Costituzione e della dignità del nostro paese, per
chiederle di dire in un suo messaggio, come la Costituzione le consente,
chiare parole di condanna per lo stato di fatto che si è venuto a
creare. Ma soprattutto le chiediamo di fare trionfare la sostanza sopra
la forma, facendo obiezione di coscienza ogni volta che è chiamato a
promulgare leggi che insultano nei fatti lo spirito della Costituzione.
Lungo la storia altri re e altri presidenti si sono trovati di fronte
alla difficile scelta: privilegiare gli obblighi di procedura formale
oppure difendere valori sostanziali. E quando hanno scelto la prima via
si sono resi complici di dittature, guerre, ingiustizie, repressioni,
discriminazioni.
Il rischio che oggi corriamo è lo strangolamento della democrazia, con
gli strumenti stessi della democrazia. Un lento declino verso
l'autoritarismo che al colmo dell'insulto si definisce democratico:
questa è l'eredità che rischiamo di lasciare ai nostri figli. Solo lo
spirito milaniano potrà salvarci, chiedendo ad ognuno di assumersi le
proprie responsabilità anche a costo di infrangere una regola quando il
suo rispetto formale porta a offendere nella sostanza i diritti di
tutti. Signor Presidente, lasci che lo spirito di don Milani interpelli
anche lei.
Nel ringraziarla per averci ascoltati, le porgiamo i più cordiali
saluti
Francesco Gesualdi, Adele Corradi, Nevio Santini, Fabio Fabbiani, Guido
Carotti, Mileno Fabbiani,
Nello Baglioni, Franco Buti, Silvano Salimbeni, Enrico Zagli, Edoardo
Martinelli, Aldo Bozzolini
mercoledì 20 aprile 2011
Nostalgia
Di nostalgia si era già parlato. E il video, che ora non si vede più, era quello di The best of friends di Joan Baez.
Oggi però nostalgia è qualcosa di diverso. Oggi nostalgia è di qualcuno che non c'è mai stato, di un luogo che non è un luogo, di qualcosa che non è accaduto. Forse la parola non è quella giusta, forse ce n'è una migliore; ma non è rimpianto, men che meno rimorso, non è ricordo, non è malinconia, non è dolore, non è smarrimento, non è sconfitta, non è privazione.
Nostalgia. Qui e ora non trovo di meglio.
Oggi però nostalgia è qualcosa di diverso. Oggi nostalgia è di qualcuno che non c'è mai stato, di un luogo che non è un luogo, di qualcosa che non è accaduto. Forse la parola non è quella giusta, forse ce n'è una migliore; ma non è rimpianto, men che meno rimorso, non è ricordo, non è malinconia, non è dolore, non è smarrimento, non è sconfitta, non è privazione.
Nostalgia. Qui e ora non trovo di meglio.
Falsetto
Esterina, i vent'anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un'avventura più lontana
l'intento viso che assembra
l'arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t'avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell'elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d'incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.
La dubbia dimane non t'impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d'erba del fanciullo.
L'acqua' è la forza che ti tempra,
nell'acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo
come un'equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.
Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T'alzi e t'avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s'incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t'abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t'afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
[Eugenio Montale, Ossi di seppia]
Poi ne sono passati altrettanti e non è semplice intendere dove sia oggi la terra, dove più il mare.
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un'avventura più lontana
l'intento viso che assembra
l'arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t'avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell'elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d'incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.
La dubbia dimane non t'impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d'erba del fanciullo.
L'acqua' è la forza che ti tempra,
nell'acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un'alga, un ciottolo
come un'equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.
Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T'alzi e t'avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s'incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t'abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t'afferra.
Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
[Eugenio Montale, Ossi di seppia]
Poi ne sono passati altrettanti e non è semplice intendere dove sia oggi la terra, dove più il mare.
mercoledì 6 aprile 2011
Improvvisazione
L'improvvisazione nella danza funziona in un certo senso come nella musica. E il genere musicale che ha portato questa esperienza alla sua massima espressione è senz'altro il jazz, che costituisce oggi in questo campo un modello ineguagliato e quindi l'inevitabile punto di riferimento. Terreno di vertiginose scoperte, ma anche di rischi funambolici, è proprio il jazz che insegna quanto l'improvvisazione pura in fin dei conti non esista. S'improvvisa sempre a partire da qualcosa, da alcuni schemi ben definiti e da materiali preesistenti. E questo dovrebbe bastare a scoraggiare chi crede nell'onnipotenza della creatività istintiva.
[Haim Burstin, Il tango ritrovato]
domenica 3 aprile 2011
Il tango ritrovato
Rispondendo all'autore dirò: Si, ancora un libro sul tango.
Un libro interessante, a tratti avvincente, capace di incuriosire e forse di avvicinare al tango chi già non lo balla, e per chi frequenta le milonghe di ripercorrerne luoghi, abitudini e vezzi. Come altri libri sul tango, nasce dichiaratamente dalla volontà di condividerne il piacere, forse di diffonderlo, e dal tentativo -senza speranza- di spiegare una passione.
L'attenzione all'improvviso si ridesta davanti al capitolo V. Dentro la danza. Qui si trova esattamente quanto il lettore cercava fin dalle prime pagine, e forse da quando ha scelto di leggere il suo primo libro sul tango: certo non una spiegazione, ma almeno una descrizione attenta degli atti, delle sensazioni e soprattutto dei delicatissimi equilibri che reggono la coppia di tangueros e la accompagnano, facendo sì che una tanda diventi qualcosa di unico, o di banale. Burstin, guidandoci con grazia nell'intimità della pareja, sfata il luogo comune che vuole l'uomo determinato e quasi brutale, e la donna subalterna e semplice esecutrice; e sposta l'attenzione sulla necessaria sintonia, sulla complementarietà dei loro ruoli e sull'incontro vero e intenso che può nascere, o non nascere, nei pochi minuti di una tanda. Responsabilità, fiducia, disponibilità: questi i termini che meglio riassumono il breve ed efficace percorso di Burstin nei pochi centimetri che separano, e uniscono, i due ballerini: perché "Senza una forte reciprocità non c'è coppia e non c'è tango". Leggiamo, e ci pare di sentirlo, l'abrazo avvolgente, comodo o impegnativo, ci sembra di poter sentire il "dialogo sottilissimo" che scorre ininterrotto senza che si pronunci una sola parola; di capire finalmente la "relazione raffinata" tra i tangueros. Un ruolo maschile forte e chiaramente esercitato, una mujer di temperamento capace di ispirare l'uomo e la sua creatività: ed ecco la danza diventa intimità, le pause dense di significato e di attesa, l'intensità si lega al movimento fluido; e si spiega come il tango sia arte.
Un libro interessante, a tratti avvincente, capace di incuriosire e forse di avvicinare al tango chi già non lo balla, e per chi frequenta le milonghe di ripercorrerne luoghi, abitudini e vezzi. Come altri libri sul tango, nasce dichiaratamente dalla volontà di condividerne il piacere, forse di diffonderlo, e dal tentativo -senza speranza- di spiegare una passione.
L'attenzione all'improvviso si ridesta davanti al capitolo V. Dentro la danza. Qui si trova esattamente quanto il lettore cercava fin dalle prime pagine, e forse da quando ha scelto di leggere il suo primo libro sul tango: certo non una spiegazione, ma almeno una descrizione attenta degli atti, delle sensazioni e soprattutto dei delicatissimi equilibri che reggono la coppia di tangueros e la accompagnano, facendo sì che una tanda diventi qualcosa di unico, o di banale. Burstin, guidandoci con grazia nell'intimità della pareja, sfata il luogo comune che vuole l'uomo determinato e quasi brutale, e la donna subalterna e semplice esecutrice; e sposta l'attenzione sulla necessaria sintonia, sulla complementarietà dei loro ruoli e sull'incontro vero e intenso che può nascere, o non nascere, nei pochi minuti di una tanda. Responsabilità, fiducia, disponibilità: questi i termini che meglio riassumono il breve ed efficace percorso di Burstin nei pochi centimetri che separano, e uniscono, i due ballerini: perché "Senza una forte reciprocità non c'è coppia e non c'è tango". Leggiamo, e ci pare di sentirlo, l'abrazo avvolgente, comodo o impegnativo, ci sembra di poter sentire il "dialogo sottilissimo" che scorre ininterrotto senza che si pronunci una sola parola; di capire finalmente la "relazione raffinata" tra i tangueros. Un ruolo maschile forte e chiaramente esercitato, una mujer di temperamento capace di ispirare l'uomo e la sua creatività: ed ecco la danza diventa intimità, le pause dense di significato e di attesa, l'intensità si lega al movimento fluido; e si spiega come il tango sia arte.
venerdì 1 aprile 2011
Trenino
Apprendo oggi che Urbino avrà il suo trenino.
Non fraintendiamo: non treno, no... trenino.
Mi chiedo: come può questa città universitaria, che nel 1987 ha lasciato che fosse dismessa l'unica linea ferroviaria che la raggiungeva, non cogliere l'ironia di avere oggi, ventiquattro anni dopo, un trenino? Un trenino su gomma, insomma un furgoncino che traina un rimorchio dondolante, che percorre il centro storico su e giù, avanti e indietro, senza destinazione, così, per divertimento. Come al luna park.
In fondo c'è una coerenza in tutto questo. Perché il centro storico di Urbino, abbandonato ai pochi turisti e agli studenti, svuotato di abitanti e di senso, a un luna park assomiglia già da tempo.
Ci mancava solo il trenino.
Non fraintendiamo: non treno, no... trenino.
Mi chiedo: come può questa città universitaria, che nel 1987 ha lasciato che fosse dismessa l'unica linea ferroviaria che la raggiungeva, non cogliere l'ironia di avere oggi, ventiquattro anni dopo, un trenino? Un trenino su gomma, insomma un furgoncino che traina un rimorchio dondolante, che percorre il centro storico su e giù, avanti e indietro, senza destinazione, così, per divertimento. Come al luna park.
In fondo c'è una coerenza in tutto questo. Perché il centro storico di Urbino, abbandonato ai pochi turisti e agli studenti, svuotato di abitanti e di senso, a un luna park assomiglia già da tempo.
Ci mancava solo il trenino.
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