Ma è possibile che un liceale promettente, che sa far dialogare fisica e filosofia com'era alle origini, finisca in pochi anni (sono appena quindici) a badare da solo a trentadue bambini di tre anni e a vergognarsi di dover chiedere alle mamme di portare a scuola carta colori fazzoletti? Si? E' possibile? Ma come è possibile? Ecco: è possibile così. Passo dopo passo, qui è spiegato tutto.
Valeria è cresciuta un altro po'. Non disegna più mosche né balene, ha attraversato già tutto il suo lungo doloroso farsi madre. Ama sempre le parole, la frase ben costruita, ma le usa ora senza incanto. Guarda il mondo da dopo: dopo l'amnesia, l'assenza, il tradimento, dopo l'abbaglio del successo, dopo lo stereotipo e il compromesso. Valeria ora sa, perché si è sporcata.
E decide di non raccontarci un'altra storia di precariato, di guerra sempre persa con l'estratto conto, le sofferenze della quarta settimana del mese. No: questa è la storia di un successo, e del suo prezzo. Clelia, così limpida, poco a poco si scopre fatta di una materia opaca, densa, fangosa. Non è colpa sua? E' stato il mondo a obbligarla? Ma Clelia è diventata mondo lei stessa, lei sporca, lei ferisce. Per l'arte, certo. In nome di qualcosa di nobile e alto. Prendendosi la responsabilità… ma non è vero.
Si, il mondo è più grande. Si, è più forte. E si, l'avrà vinta. Ma Clelia vince quando sceglie di fare un passo indietro, di concentrarsi su un orizzonte più ristretto e su un mondo in scala ridotta, nel quale sia ancora possibile assumersi realmente una responsabilità personale.
Favoletta morale di oggi, che con la sua protagonista nasce sognante, cresce impegnata, diventa cinica nella maturità per conludersi con un improbabile lieto fine, un po' semplicistico ma colmo della speranza che "questi quindici anni" possano davvero essere finiti.
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