Mezzogiorno. Il tempo volge al brutto, negli stabilimenti gli ombrelloni vengono chiusi e raccolti, i bagnini si attardano a controllare che qualche imprudente non sia ancora in acqua. Sul lungomare, coppie atletiche di olandesi camminano tranquille accompagnate dai figli adolescenti, anziani pescatori osservano seduti su panchine troppo moderne, mamme apprensive rincorrono bambini o li trascinano verso casa.
Un uomo più nero della notte, serio, asciutto, si sporge oltre la ringhiera a osservare qualcosa di sotto, sulla spiaggia; da quella stessa ringhiera il vento fa sventolare i teli leggeri a disegni africani esposti in vendita. Una bimba nera quanto l'uomo e altrettanto seria, avrà otto anni, gli chiede qualcosa, brandendo un gelato. L'uomo annuisce e lei gli si avvia incontro, il vestitino fucsia svolazzante; dietro sale un altro bambino, più piccolo, concentrato su un gelato identico non ancora aperto.
"Per i figli si fa tutto" sorride da sotto il venditore di gelati.
"E' difficile" risponde il padre; "Difficile...".
parole scritte o dette, parole in versi o in prosa, parole per convincere o per ricordare, per confidarsi, redimersi o mentire: questo spazio è dedicato alla lettura, alla scrittura, e alla vita.
mercoledì 28 giugno 2017
martedì 27 giugno 2017
Eterno
Il sole del pomeriggio scalda ancora e fa sudare.
Due ragazzini di qui, la pelle percorsa da brividi, escono dall'acqua: sono le cinque ed è ora di andare. I capelli corti brillano d'acqua e di sale, i giovani muscoli guizzano sotto la pelle tesa. Tra qualche settimana quella pelle sarà cotta dal sole ma ora è soltanto giugno, la scuola è finita da poco. Si asciugano sommariamente, infilano le magliette sopra i pantaloncini grondanti, prendono i telefoni dallo zaino e avvisano a casa, "Sto arrivando, mamma" con la voce ancora infantile. Salutano gli amici e si avviano, insieme, senza fare la doccia: uno biondo uno moro, uno alto e robusto con la faccia da bambino, l'altro piccolo e scattante ma con l'espressione quasi adulta.
Poco più in là i fratelli maggiori, come a un comando, si alzano insieme dai loro asciugamani oziosi e si lanciano in acqua. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Ciascuno si tuffa e si avvia senza fermarsi ad aspettare il prossimo. Nuotando sfilano accanto all'alta roccia che emerge dal fondo a pochi metri da riva, poi scompaiono alla vista. Gabbiani urlanti, sempre identici e ignari di sé, volano sopra il golfo proiettando ombre enormi sulla parete del castello di Lerici.
I ragazzi ricompaiono oltre gli scogli. Figurine lontane, si arrampicano lenti e metodici come formiche fino a radunarsi su uno stesso spuntone di roccia. Là si fermano. Prendono fiato. Ridono, chi sa, fino a che uno si alza e si sporge. Immagino scenda il silenzio. Le dita dei piedi aggrappate alla roccia, i polmoni che si riempiono, le ginocchia flesse si preparano al salto. E via! Due secondi e mezzo di accelerazione, poi la figura scompare di nuovo ed emergono schizzi alti di schiuma salata. Si lanciano il secondo, il terzo, e già il primo sta risalendo, lento, determinato.
Non so cosa sia a farli decidere, ma a un tratto si fermano sulla roccia su in alto, senza tuffarsi. Passa altro tempo, a un tratto li cerco con lo sguardo e non ci sono più. Li trovo nel mare: nuotano, stanno tornando.
Sempre identici, ignari di sé.
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