Roth rimane comunque (o meglio: era già nel 1977, quando scriveva queste pagine e aveva 44 anni e poteva permettersi di considerare vecchio un uomo di 65) l'osservatore implacabile di sempre, spia di ogni propria ed altrui debolezza e umana miseria.
Scrive il prof. David Kepesh nella sua onirica prolusione: "[...] non concordo con alcuni miei colleghi secondo cui la letteratura, nei suoi momenti più validi e interessanti, è <
E allora forza, lasciamo che siano fotografate e pubblicate le nostre paure, scandagliato il nostro desiderio, il male che ci facciamo, il bene che non sappiamo farci bastare mai, la ricerca febbrile di una vita che sfugge sempre, le possibilità che ci neghiamo con ciascuna nostra scelta, e naturalmente l'assurdità della morte, dell'io che termina, la nostra inaccettabile finitezza.
Non il Roth migliore; ma comunque, che gran bella lettura!
Nessun commento:
Posta un commento