La grande estate ferisce; in quell'orizzonte che si spalanca c'è tutto e anche tutto quello che si è perduto e si continuerà a perdere. E' così facile - anche se davanti a quel mare non si capisce come possa accadere - scordare di essere figli di re e andarsene per il mondo a bussare come mendicanti a porte straniere. [...] ogni estate è unica e irripetibile, una dopo l'altra sfilano come i grani di un rosario, il tempo li arrotonda come sassi sulla spiaggia, fra l'uno e l'altro si apre un infinito.
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Cherso, Crepsa, Crexa, Chersinium, Kres, Cres - nomi latini, illiri, slavi, italiani. La vana ricerca di purezza etnica scende alle radici più antiche, si accapiglia per etimologie e grafie, nella smania di appurare di quale stirpe fosse il piede che per primo ha calcato le spiagge bianche e si è graffiato sui rovi della fitta macchia mediterranea, come se ciò attestasse maggiore autenticità e diritto al possesso di queste acque turchesi e di questi aromi del vento.
La discesa non raggiunge mai un fondo ultimo o primo, non arriva mai all'Origine. A grattare un cognome italianizzato si riscopre lo strato slavo, un Bussani è un Bussanich, ma se si continua viene talora fuori uno strato ancor più antico, un nome venuto dall'altra sponda dell'Adriatico o da altrove; i nomi rimbalzano da una riva e da una grafia all'altra, il terreno sprofonda, le acque della vita sono una palude promiscua e cedevole.
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Cherso e Lussino, con il loro arcipelago, si chiamavano anche Absirtides o Apsirtides, dal nome del fratello di Medea che la maga, per amore di Giasone, aveva attirato in un tranello mortale su queste acque; dal suo corpo gettato a pezzi in mare nacquero le isole.
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La leggenda che fa sfociare il Danubio nell'Adriatico dice il desiderio di sciogliere le scorie di paure, ossessioni, pudori, deliri di difesa - di cui è così greve il continente attraversato dal fiume - nella grande persuasione marina, abbandono disteso, puro presente della vita che basta a se stessa e non si consuma nella corsa verso mete da raggiungere, nell'ansia di fare, ossia di aver già fatto e già vissuto, ma è felicità senza meta e senza assillo, eternità e autosufficienza dell'attimo.
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Se il desiderio di vivere è la causa del male e del dolore, il mare è devastante, perché intensifica la gioia e la sete della vita, è la seduzione del suo infinito ripetersi e rigenerarsi. Nella luce del mare le cose acquistano un'intensità assoluta, troppo intensa per i sensi che la percepiscono, epifania insostenibile.
[Claudio Magris, "Assirtidi" in Microcosmi]
Bello!
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