Perché a Web ci sono, l'ho capito, l'abbiamo capito tutti da un pezzo.
Anche Web 2.0 ormai è acquisito, indica la rete partecipata, la comunicazione istantanea, i contenuti condivisi dal basso.
Ma non ci si può fermare: siamo alla fase tre. E il dizionario italiano, sia pure digitale, questa volta non è sufficiente.
Web 3.0 è un intero cervello in comune. Un'intelligenza collettiva. Di più: una rete che i contenuti li produce da sé, senza chiedere il nostro parere.
Un esempio? Pubblico una nota su un blog, o su un social network. Magari aggiungo anche un'etichetta... si, insomma, "taggo"; ma non è indispensabile.
E la rete - la Rete, si badi bene: non il mio computer, non un programma che posso avviare o meno - connette questa mia nota ad infinite altre, ad una nuvola di note di argomento affine. Arricchisce quindi il mio contributo; lo allarga, e allo stesso tempo lo ingloba in qualcosa che va oltre le mie conoscenze e oltre, molto molto oltre il mio controllo. E lo fa, attenzione, senza che io glie l'abbia chiesto, né esplicitamente consentito.
Insomma, il Web 3.0 non è il futuro, anzi ci viviamo già da molto. Nella Rete Semantica siamo immersi fino al collo.
...e io che mi illudevo che il cervello sociale comportasse una crescita di ciascuno, una nostra maggiore coscienza, consapevolezza, responsabilità.
O forse è davvero così. Spero che prima o poi me lo spieghi il mio amico Sergio. (...tag!)
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