mercoledì 29 giugno 2011

Stanco

More about Il viaggio dell'elefante
José Saramago, Il viaggio dell'elefante

Sarà l'età. Sarà il non avere più voglia. Sarà invece il timore di non avere più un'altra occasione.
Ma questo elefante non aggiunge gran che alla scrittura di Saramago. Si ripete anche qui il piacere, sempre presente, della scrittura guizzante e digressiva, ma l'effetto è un po' manierista. L'autore cita se stesso, certe divagazioni sembrano autoreferenziali.
L'elefante muto rimane sullo sfondo, figura enigmatica di cui non si sa praticamente nulla, se capisca, se pensi, se davvero ricordi. Non agisce, emette soltanto pochi isolati barriti; e ci lascia persi nella nebbia, o nel bianco della neve.
Romanzo di fine, di morte, di non ritorno.
Nota di merito per la bellissima carta riciclata dell'edizione in paperback; di grave demerito per la brossura che non tiene, il volume ti si squaderna tra le mani prima di giungere alla fine.

martedì 28 giugno 2011

Cose della scrittura

Non che fosse questa la nostra intenzione, ma ormai lo sappiamo che, in queste cose della scrittura, non è raro che una parola tiri l'altra solo perché suonano tanto bene insieme, spesso sacrificandosi così il rispetto per la leggerezza, l'etica per l'estetica, ammesso che rientrino in un discorso come questo dei concetti tanto solenni, e per giunta senza profitto per nessuno. E' con queste e con altre che, quasi senza accorgercene, finiamo per farci tanti nemici nella vita.

[José Saramago, Il viaggio dell'elefante]

lunedì 27 giugno 2011

Educazione

Mattina, le otto suppergiù. Autobus pieno di studenti e impiegati.
Sale un uomo con i capelli bianchi, avrà sessantacinque anni, forse settanta.
Si guarda brevemente intorno, quindi afferra un sostegno, e l'autobus riparte.

Sarebbe 'educazione' alzarsi e lasciare il posto, non è così?
Ma d'altra parte, a cosa siamo stati tutti 'educati'? A restare e apparire giovani, perché la vecchiaia non va nominata né pensata, è offensiva, è brutta e va negata con ogni forza.
Lasciare il posto, dunque?
Ad una donna incinta, si. A chi ha una gamba ingessata, certamente! Con un sorriso umano e comprensivo.
Ma a quest'uomo? Come si può cedergli il posto, ovvero dirgli che è un Vecchio? Che non sta bene, e allora diremo Anziano. Come dire a qualcuno che la sua vita è ormai di nessun conto, che non corrisponde più alla moda, né al buon gusto, e che tutto questo è irrimediabile?
Ci sarebbe voluto un bel coraggio ad alzarsi, guardarlo in viso e dire: "Vuole sedersi?"
Lui, probabilmente, ci sarebbe rimasto male.


Ancora una volta, nell'etimologia una possibile salvezza: educare, e-ducere, condurre fuori. Aiutare le buone inclinazioni ad emergere, manifestarsi. Socraticamente, far uscire dall'uomo il meglio che ha, lasciare che prenda forma la Persona che ancora non siamo pienamente. Capace di alzarsi sorridendo e, forse, un giorno, anche di invecchiare serenamente.

martedì 21 giugno 2011

Parole nuove - Giochi di parole

... [parola] che doveva essere già sul punto di bussare alle porte, con quell'aria falsamente distratta che hanno le parole nuove, chiedendo di farle entrare.

- - -

Non sono in grado di seguirti in questi tuoi giochi di parole, Non sono io che gioco con le parole, sono loro che giocano con me.


[José Saramago, Il viaggio dell'elefante]

domenica 12 giugno 2011

Vendetta

More about Il ballo
Irène Némirovsky, Il ballo

Tre personaggi:
- una madre che invecchia male, piena di rimpianti e di malevoli, patetici progetti di tradimento fine a se stesso;
- una figlia che cresce peggio, accidiosa riottosa rancorosa già da ragazzina;
- e il tempo che passa, fatto di anni o minuti che naturalmente giocano a favore della più giovane.
"All’improvviso si sentì ricca di tutto il suo avvenire, di tutte le sue giovani forze intatte": questo, l'una non lo può più pensare, sentire; e l'altra lo sa bene.
Il tentativo di fermare il momento -delicato, doloroso e impercettibile- del passaggio di consegne tra madre e figlia sembra appesantito dall'autobiografia di Irène Némirovsky, che con il racconto di una vendetta crudele si vendica a sua volta, senza peraltro salvare dalla condanna il personaggio che la rappresenta, la piccola Antoniette già tanto perfida da sorridere di soddisfazione nel grembo di sua madre in lacrime.
E' un racconto di lettura molto scorrevole, forse sopravvalutato. Ma per la stima che circonda l'autrice, prossimamente di Irène Némirovsky leggerò anche dell'altro.

sabato 11 giugno 2011

Palpeggiàre

- [...] Durante i tanghi veniva spenta l'illuminazione elettrica e restavano accese soltanto due grandi lampade di alabastro negli angoli, con una luce rossa...
- Oh, non mi piace granché, fa molto dancing.
- Oggi si usa così dappertutto, pare; le signore adorano lasciarsi palpeggiare a ritmo di musica... La cena, naturalmente, servita ai tavolini...

[Irène Némirovsky, Il ballo]

Poi una si chiede perché il tango abbia una cattiva fama....

venerdì 10 giugno 2011

Realismo depressivo

Scrive Graham Lawton -giornalista e divulgatore scientifico- su New Scientist (e io leggo, tradotto, su Internazionale):
"Quando si chiede alle persone di giudicare i loro pregi - competenza, intelligenza, onestà, originalità, affidabilità e molti altri - quasi tutte si collocano sopra la media. E con i difetti succede la stessa cosa: la maggior parte pensa di averne meno della media. [...] E la maggioranza è convinta di essere meno propenso della media ad avere un'alta opinione di sé. [...] Lungi dall'essere patologiche, però, le illusioni positive sono ritenute l'indice di una mente sana. Chi non le ha è più a rischio di depressione, uno stato noto come realismo depressivo."

Sono giorni, e notti, che questa definizione, realismo depressivo, continua ad echeggiare; sembra giunto il momento di ascoltare, approfondire, mettere a fuoco. E, visto il tema scottante e la relativa carenza di fonti, mi addentro per una volta nella e-jungla a scegliere, semplicemente, quelle che mi piacciono, o mi interessano di più.

Nella jungla incontro un tale Chris Putnam:
"This theory puts forward the notion that depressed individuals actually have more realistic perceptions of their own image, importance, and abilities than the average person. While it’s still generally accepted that depressed people can be negatively biased in their interpretation of events and information, depressive realism suggests that they are often merely responding rationally to realities that the average person cheerfully denies. [...] These problems put therapists in the curious position of teaching patients to develop irrational patterns of thinking—patterns that help them view the world as a rosier place than it really is. [...] It’s a disconcerting concept. It’s certainly easier to think of the mentally disordered as lunatics running about with bizarre, inexplicable beliefs than to imagine them coping with a piece of reality that a “normal” person can’t handle."

Ora: a parte che questa nota è scritta davvero bene, per il resto non c'è niente di nuovo; anzi, scopro che le osservazioni di questa notte, così come la nota di Putnam, l'articolo di Lawton e certamente anche dell'altro, derivano da un articolo scientifico del 1988.
Qui, peraltro, non si cerca niente di nuovo. Tutt'al più, si fanno esperimenti di ontogenesi (nella mia modestissima esperienza) della filogenesi delle parole. Prove di etimologia applicata.

Concludo (citando in traduzione inglese, chiedo venia):
“Take the life-lie away from the average man and you take away his life.” [Henrik Ibsen, The Wild Duck]

giovedì 9 giugno 2011

Parole (al di fuori, non c'è niente)

[...] Perché queste sono tutte parole, e solo parole, al di fuori delle parole non c'è niente, Ganesha è una parola, domandò il comandante, Sì, una parola che, come tutte le altre, si potrà spiegare soltanto con altre parole, ma, siccome le parole che hanno tentato di spiegarla, vuoi che siano riuscite a farlo oppure no, a loro volta, devono essere spiegate, il nostro discorso andrà avanti senza una rotta, alternerà, come per maledizione, l'errato con il giusto, senza rendersi conto di ciò che va bene e di ciò che va male [...].

[José Saramago, Il viaggio dell'elefante]

mercoledì 8 giugno 2011

Ancora sul Vangelo di Saramago

Non saprei che altro commento scrivere, migliore di questo.